La provola è una mozzarella che “non ce l’ha fatta”? Ovviamente è solo una battuta ma rende bene l’idea perché alla fine si tratta sostanzialmente dello stesso procedimento, sia nella variante di latte vaccino e che di latte bufalino, ovviamente questa diffusa esclusivamente in Campania. Si tratta di un formaggio a pasta filata, relativamente facile e veloce da preparare ma con un vantaggio preciso rispetto alla mozzarella e al fior di latte: restare fresco qualche giorno in più, soprattutto se sottoposto ad affumicatura, uno dei metodi più antichi di conservazione del cibo prima dell’avvento del frigorifero e della catena del freddo nei processi produttivi dei caseifici.
La lavorazione con cui si realizza la provola è uguale alla mozzarella e al fior di latte, anche negli ingredienti: latte vaccino o bufalino, intero crudo, caglio liquido e siero innesto. Il processo è in tutto e per tutto sovrapponibile in entrambi i casi, compresa la filatura e la salatura. Cosa cambia? La stagionatura, appunto. La provola viene fatta maturare almeno da uno a dieci giorni. Altra differenza visibile immediatamente è la forma: una pera con la tipica testina.
Sicuramente la provola è il formaggio a pasta filata più antico, almeno per quanto riguarda le tracce documentali che fanno risalire le origini al Medioevo, in ogni caso è certo che nel ‘600 era già ben conosciuta e diffusa tanto da entrare anche nel presepe napoletano. Sull’origine del nome non c’è certezza, secondo alcuni verrebbe da “prova”, ossia dai test realizzati per verificare la filatura, secondo l’Istituto di Scienze dell’Alimentazione deriva da ”pruvatura” o “pruvula” come veniva chiamato il formaggio dei componenti del Capitolo (adunanza dei religiosi) al monastero di San Lorenzo in Capua, in provincia di Caserta.
Anche se nel linguaggio comune sono quasi sinonimi, soprattutto in Campania, provola e scamorza non sono la stessa cosa. Infatti, la scamorza è un formaggio a pasta semicruda e filata, mentre la prima è solo filata. Altra differenza è nel colore: la scamorza è leggermente più bianca.
I primi documenti reperibili nella terra dei Mazzoni nella provincia borbonica di Terra di Lavoro che comprendeva quelle attuali di Caserta e Latina sino a Nola, sono precisi: la provola affumicata era l’unica ad avere un valore commerciale mentre la mozzarella era destinata all’autoconsumo proprio per la sua facile deperibilità. Si spiega allora perché quando Napoli era non solo la più popolosa città italiana, ma la seconda in Europa dopo Parigi, la provola è arrivata molto, ma molto, prima della mozzarella di bufala che sostanzialmente si è affacciata nel consumo quotidiano, diventando adesso preponderante, solo a partire dalla metà degli anni ‘80. E si spiega anche perché la provola affumicata entra di prepotenza in alcune delle ricette più amate dai napoletani, citiamo per tutte la pasta e patate e la pizzaiola, ossi una salsa semplice e veloce di pomodoro con origano e magari qualche oliva. Il suo gusto fumé è uno dei tratti caratteristici del palato partenopeo così come si è formato nel corso dei secoli e che ancora oggi resiste. Del resto sappiamo bene che affumicature e bruciature se ben calibrate fungono da esaltatori del sapore marcando bene il gusto di quello che si sta mangiando nel palato.
Ma è sbagliato identificare la provola con la sola Campania, questo al limite potrebbe valere per la scamorza, perché si tratta di una lavorazione diffusa dal Molise alla Sicilia anche se poi con il tempo si è diffusa anche nella pianura Padana dove è diventata provolone.
La forma tipica è quella classica di molti formaggi a pasta filata, ossia a forma di pera, con una piccola testina legata da un cappio nella parte superiore che serviva per trasportarli e per la stagionatura lasciando i pezzi in contrappeso sulle travi proprio come una antica bilancia bilancia. La crosta della provola deve essere liscia bianca, simile alla pasta che si deve presentare morbida, compatta ed elastica. Proprio queste caratteristiche la rendono amica di diverse preparazioni, tra cui la più diffusa è proprio la parmigiana di melanzane perché si presta decisamente meglio della mozzarella e del fior di latte. Nella perenne mancanza di carne della Napoli povera di calorie sino qualche decennio fa, era una importante fonte di proteine animali.
Il sapore della provola è dolce e leggermente acidulo, e l’aroma è sempre molto delicato. La stagionatura può variare sensibilmente a seconda del tipo di prodotto che si vuole ottenere: parte da un minimo di 24 ore fino ad arrivare a 10 giorni, ma nei prodotti più stagionati può arrivare addirittura fino a 6 mesi come nel caso della provola dei Nebrodi (dove è molto grande e può raggiungere i cinque chili) mentre, per restare in Sicilia, non supera le due settimane se lavorata nelle Madonie.
provola e scamorza
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