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Diego Vitagliano non aveva voglia di andare a scuola, così a 15 anni il padre, dipendente comunale, lo prese per le recchie e lo portò da Salvatore Esposito, il papà di Vincenzo, titolare di Carrmnella. Visto che non studi, lavora. Da 16 anni Diego lavora.
A volte c’è invidia per il successo. Ma forse se si vedesse al microscopio la vita di chi emerge se ne proverebbe molta meno: 16 anni ai forni. Non tutti per la verità, perchè Diego il sabato voleva uscire e allora ha girato un po’ per poi tornare da Franco, la pizzeria di fronte alla Feltrinelli della Stazione. Alla fine negli ultimi quattro anni Piazza Garibaldi è stata una bella fucina, nasce l’amicizia con Carlo Sammarco che lavorava alla Cantina dei Mille, con Enzo Bastelli e piano piano si forma la “banda del gommone”. Sono amici, si scambiano idee, hanno gruppi su whatsapp dove invece di complottare e lamentarsi parlano di impasti e di prodotti. Vanno insieme alle manifestazioni, non sono monadi, ma una rete.
Ogni generazione ha i suoi linguaggi, le sue fisse, i propri modi di vestire e di vivere. Molti di questi ragazzi che amano studiare gli impasti, variarli, sono una espressione della pizza napoletana. Io credo anche nell’uso della biga perché l’anima della pizza alla fine è la scioglievolezza dell’impasto, la completa fusione degli elementi nella margherita e marinata. Persino in questo scontro fra tradizionalisti e gommisti bisogna leggere solo un elemento di rafforzamento della pizza napoletana. Fu ben più pericolosa, me lo ha ricordato Antonio Starita, l’offensiva della pizza a metro negli anni ’70-80.
Questo fermento cosa sta producendo? Un gran vantaggio per gli appassionati perché ormai sono centinaia le pizzerie dove si mangia alla grande.
E non solo a Napoli: da Pozzuoli ad Aversa, da Acerra a Nola, persino a Salerno che sino a 30 anni fa non aveva pizzerie aperte a pranzo, è possibile mangiare pizze buonissime. I motivi sono due: per un giovane oggi è impossibile aprire una propria pizzeria nel centro della città. Dunque tanti bravi vanno in provincia nella speranza, un giorno, di tornare. Il secondo è che anche chi fa il pizzaiolo in paese oggi è aggiornato, studia, vuole capire.
Diego ha sicuramente una marcia in più. Noi chiediamo degli impasti e non ci facciamo mandare le foto delle pizze per le recensioni come fanno alcuni pagliacci. Nella sua pizzeria sul lungomare di Pozzuoli lavora in un modo d’inverno e in un altro quando sale la temperatura. Ha le pizze stagionali perché c’è un orto. Ma soprattutto quello che è importante è la dimostrazione di saper pensare a pizze equilibrate, che hanno al proprio interno una tensione verso la freschezza e l’acidità. Quella con gli agrumi dei Campi Flegrei è per esempio innovativa e moderna, ha una grande spinta anche se dovrebbe diminuire la quantità di latticino per esaltare ancora di più la straordinaria freschezza di limoni, aranci e mandarini.
Buonissima i quattro casi, la prima pizza ai quattro formaggi che non è dolce e morbida, ma ha il sapore dei pecorini del Sud anche grazie al conciato romano che funziona da esaltatore di sapore. La scelta è infinita, oggi tra i giovani vanno le pizze per pariare, un termine per dire divagare, divertirsi senza impegno.
CONCLUSIONE
Oggi è indispensabile per chi segue il fenomeno della pizza napoletana conoscere la mano di Diego. Ha la necessità di fare ancora un po’ di esperienza, ma le premesse ci sono tutte. Forse sarà proprio lui ad indossare la maglia numero 10, quella di Maradona che ha dato il nome a lui e alla pizzeria, in una futura squadra di pizzaioli napoletani.
Ovviamente Campioni del Mondo.
Per definizione e a prescindere.
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