di Giulia Gavagnin
Alzi la mano chi sa cos’è il Coravin! Siete in molti a saperlo, professionisti e appassionati, che vendete o acquistate un bicchiere di vino pregiato, di quelli che l’intera bottiglia è impegnativa, un salasso, o semplicemente una scommessa che potrebbe essere perduta in partenza.
Eppure, sapete quando nasce il Coravin?
Dieci anni, che sono pochissimi, sembra ieri e invece è una vita fa nel mondo della tecnologia dove tutto si crea e si distrugge in un batter di ciglia.
Ancora, sapete per opera di chi? Di un enologo, un viticoltore, uno scienziato pazzo? Nulla di tutto questo.
Di un elegante ingegnere biomedicale americano, appassionato di piccole invenzioni, un Archimede Pitagorico a stelle e strisce che nel garage di casa ha assemblato il primo, rudimentale marchingegno per conservare a lungo una bottiglia di vino aperta.
A dieci anni dal deposito del marchio sociale, Greg Lambrecht ha raccontato la sua (felicissima) avventura alla presenza di pochi fortunati ascoltatori, nonché del primo acquirente italiano del Coravin, Federico Ceretto. Un caso? Certamente, no. I Ceretto sono una delle più note famiglie di viticoltori in Langa, nonché autentici imprenditori illuminati, eredi del genio di Olivetti nella patria dei Ferrero. Visione, intuizione, azione, territorio. Caratteristiche che conducono naturalmente a felici incontri tra innovatori di successo, come i Ceretto e i Lambrecht.
Infine, dove poteva svolgersi questo rendez-vous? Nella dimora d’eccellenza dei Ceretto, Piazza Duomo in centro ad Alba, dove un certo Enrico Crippa officia dal 2005, tagliando tutti i più alti traguardi.
Le domande terminano qui, ora iniziano i racconti.
Una dozzina d’anni fa, l’industrioso Lambrecht si trovava nel garage di casa con i suoi oggetti da lavoro, tra cui alcuni aghi da biopsia per scopi biomedicali e si chiedeva come risolvere un annoso problema. Sua moglie beveva poco e le bottiglie di vino andavano spesso sprecate. Inoltre, sempre il nostro ingegnere si chiedeva: ma se voglio assaggiare più vini in una sera e conservarne le bottiglie come faccio? Con un ago sottilissimo, per nulla invasivo nella pelle umana, Lambrecht ha perforato un tappo di sughero osservando che si sarebbe richiuso dopo qualche minuto, restando sostanzialmente integro. Insufflando del gas inerte, l’atmosfera all’interno della bottiglia ne avrebbe mantenuto integro il contenuto.
Un suo socio dell’epoca gli dice di correre a brevettare l’invenzione e di creare il relativo marchio.
In pochi mesi c’è stata la corsa per accaparrarsi il prezioso strumento, i Ceretto sono stati i primi in Italia a intuirne le potenzialità, data anche la preziosa robustezza dei loro vini. Gli imprenditori langaroli avevano all’incirca 400.000 € di vino in valore a rischio di deperimento. Il sistema di conservazione ideato da Lambrecht gli era apparso come il più idoneo a preservare il ben di Dio in Barolo e Barbaresco e il sodalizio s’è fatto immediato: il primo servizio di vini a Coravin a Piazza Duomo è avvenuto nel 2015 e da allora le bottiglie conservate con detto sistema sono aumentate esponenzialmente.
Tuttavia, come in ogni rivoluzione che si rispetti, non sono mancati i detrattori più conservatori, quelli che in gergo contemporaneo chiamano “populisti”.
Racconta divertito Lambrecht che nel 2015 il sommelier dello storico stellato tedesco Tantris di Monaco di Baviera scrive sul web una velenosa invettiva nei suoi confronti che viene ripresa da più testate. Lambrecht volò immediatamente a Monaco con il suo strumento ordinando un sontuoso menu degustazione che aumentava progressivamente, una portata dopo l’altra. Dimostrò al testardo sommelier che Coravin funzionava. Tantris è ancora oggi il ristorante tedesco che serve il maggior numero di calici a Coravin.
Nel corso degli anni la linea è cresciuta.
Attualmente, oltre al classico Timeless che preserva i vini per mesi e anche anni, c’è il più snello Pivot per conservazioni sino a un mese, adatto per vini meno impegnativi e lo sparkling per gli spumanti, che sostituisce il gas argon con la Co2.
Durante il pranzo è stata fornita una dimostrazione pratica dell’efficacia insuperata dello strumento.
Sono stati serviti grandi vini dell’azienda agricola Ceretto, con preferenza per alcuni grandi cru.
Il Barbaresco Bernadot 2016, annata eccellente per i nebbioli di Langa, viene coltivato nella parte alta di Treiso, con terreni argillosi simili a quelli di Serralunga d’Alba, che conferiscono maggior frutto rispetto a quelli di Neive. E’ caratterizzato da sentori di fragolina di bosco, violetta, pepe bianco, cannella, una leggerissima sensazione eterea, con tannini assai raffinati, pur presenti. Elegante, come si conviene alla regina dei Nebbioli.
Il Barolo 2016, eccellente idea per raffrontare la medesima, grande annata, con il Re della Langa, è un assemblaggio di uve provenienti da varie parcelle: Brunate, Gabutti, Bussia. E’ espressione della macroterritorialità di questo straordinario vino, che si presenta con maggior corpo rispetto al barbaresco, una speziatura più decisa di pepe nero, frutti di bosco più maturi, e importanti note di tabacco ed elementi balsamici.
Caratteristiche che risultano amplificate nel Barolo Bussia 2013, uno dei grandi cru della denominazione. Siamo nel comune di La Morra, dove i terreni sono invece sabbiosi e marnosi, con conferimento di eteri più spiccati. E’ un Barolo alla “vecchia maniera”, con tannini più pronunciati e corpo spiccato, un bouquet floreale importante, con note di viola mammola, mora di gelso, cuoio e tabacco in sottofondo, una speziatura decisamente tornita.
L’eccellenza enologica raggiunta dai Ceretto non poteva esimersi dal connubio con un grande maestro cerimoniere.
Enrico Crippa è uno chef colto e poliedrico, la nota esperienza giapponese gli ha conferito salda l’idea che vada perseguita la ricerca della Verità del cibo, come lui in Italia c’è solo Massimiliano Alajmo, pur nella diversità di stili ed approcci tra questi due fuoriclasse.
Ci ha stupiti Crippa perché lo ricordavamo pittore ad acquarello, delicato nell’ikebana vegetale e nelle cotture magistrali, a distanza di (troppi) anni l’abbiamo ritrovato solido e geometrico, con la perfezione tecnica che serve il piacere del ventre, con l’austera piemontesità trasfigurata in gioco di gola con la sapienza dei grandi e la curiosità dei maestri.
Il valore di Enrico Crippa e del suo lavoro incessante, tra cultura del vegetale e aspirazione all’apollinea profondità della cucina, lo rende un maestro di livello mondiale.
Estrapolati dai vari menu contemporanei, sono stati serviti:
- L’aperitivo di Torino, sospeso tra la boiserie del Caffè Mulassano di piazza San Carlo e gli sfizi da piola, con un tramezzino tonnato, un’eclaire al salume leggero, cubetti di zucca marinata con menta e nocciola, un ragu del contadino semplicemente strepitoso e un creme caramel salato.
- Fungo cardoncello con crema di patate, il suo sugo ed estrazione di brodo di funghi concentrato, un piatto perfetto nell’equilibrio tra potenza e carezza;
- Risotto alla polvere di roiboos sudafricano, dal menu contemporaneo sul viaggio che fa da contrappunto al menu Barolo, territorio ed esplorazione, piatto che stupisce per aderenza alla terra e suggestioni lontane con introduzione di sapori lontani ma vicini al mondo di Langa.
- Faraona con la sua riduzione, salsa al foie gras e tartufo, un altro inno al territorio e alla grande tradizione di Casa Savoia del Vialardi, qui in chiave contemporanea attraverso la cottura straordinaria e l’eredità marchesiana dell’alleggerimento assoluto.
- L’interpretazione del profiteroles, a seguire piccola pasticceria con i savoiardi da tuffare nella crema pasticcera, con una chiusura nel segno dell’assoluta perfezione anche nell’arte dolce.
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