di Andrea Petrini
Buongiorno Chiara, pensando al tuo mestiere di imprenditrice, la prima domanda che ti faccio è come sono cambiati, causa crisi pandemica, i mercati sia nazionali che internazionali del vino.
Il mercato italiano ed estero sono cambiati tantissimo: non si viaggia più sui mercati, sono cambiate le modalità di contatto con i buyers ed i mercati sono presidiati prevalentemente con digital marketing. Le tecnologie digitali durante il periodo di lockdown sono diventate fondamentali per mantenere i rapporti con clienti e operatori del settore attraverso le degustazioni online ed i webinar abbiamo avuto la possibilità di collegarsi e parlare in contemporanea con molte più persone rispetto agli eventi del passato in presenza, ma questa modalità non sostituirà mai il rapporto umano che è meno allargato, ma più efficace sul singolo. Il mercato del vino italiano è molto concentrato su USA, UK, Germania, Svizzera e Canada i paesi dove c’è un retail sviluppato il quale porta a molte soddisfazioni.
Occorre fermare subito la guerra dei dazi tra Unione Europea e Stati Uniti d’America che ha già colpito le esportazioni di cibo e bevande Made in Italy e ha messo a rischio prodotti simbolo del Made in Italy come il vino.
L’ elezione del nuovo presidente Usa arriva a poco più di un anno dall’entrata in vigore, il 18 ottobre 2019, in Usa di una tariffa aggiuntiva del 25% su una lunga lista di prodotti importati dall’Italia e dall’unione Europea, per iniziativa di Donald Trump nell’ambito della disputa nel settore aeronautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus.
Ora l’elezione di Joe Biden apre nuove prospettive che l’Unione Europea deve essere in grado di cogliere per avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati in un momento drammatico per gli effetti della pandemia.
Il settore agroalimentare non può continuare ad essere merce di scambio nei contenziosi politici ed economici anche in considerazione del pesante impatto che ciò comporta, soprattutto alla luce delle tensioni legate all’emergenza Covid.
A livello internazionale il vino italiano dovrà affrontare anche il problema Brexit?
Sul fronte UK e Brexit, per quanto riguarda la nuova normativa, la questione chiave è se tutto il vino importato nel Regno Unito dal 1° gennaio 2021 debba essere accompagnato dal “tristemente famoso” modulo VI-1, che richiede la obbliga alla divulgazione di una serie di informazioni relative al prodotto, inclusa la prova del contenuto confermato da test di laboratorio.
Questo requisito è in vigore per il 45% del vino attualmente importato nel Regno Unito da paesi extracomunitari e l’attuale politica del governo prevede l’estensione di tale obbligo alle importazioni di origine comunitaria dopo la fine del periodo di transizione di Brexit.
Il risultato sarà il raddoppio delle pratiche burocratiche per gli importatori con sede nel Regno Unito e nuovi oneri burocratici per chiunque cerchi di esportare nel Regno Unito da qualsiasi paese dell’UE.
L’attuale politica del governo è quella di applicare ai vini dell’UE la stessa aliquota che l’UE applica attualmente al vino proveniente da paesi terzi. Ciò significa 10 sterline per ettolitro per il vino fermo (10 centesimi di sterlina per litro) che salgono a 26 sterline per ettolitro per i vini spumanti. Al momento non sembra esserci alcuna prospettiva di riduzione per questi dazi ma nulla è ancora definitivo. Dovrà essere messa in atto un’efficace politica europea e da parte dei singoli stati.
Le vicende che hanno generato nel recente passato le tensioni politiche sul commercio internazionale vanno valutate con estrema attenzione, due partner commerciali fondamentali per l’Italia, come gli Usa e la Gran Bretagna, potrebbero introdurre nuovi dazi sui vini italiani, anche e soprattutto se le condizioni economiche interne dovessero risultare particolarmente deboli a causa della Covid-19.
Come stai affrontando questa seconda, e speriamo ultima, ondata di epidemia?
La pandemia e la seconda ondata sono stati un evento di portata mondiale che ha cambiato e cambierà gli equilibri economici, sociali e commerciali, compariranno più disuguaglianze sociali e la globalizzazione ridurrà la sua portata Il Covid-19 è alle spalle ma gli effetti che ha provocato li vedremo nei prossimi mesi.
Questo evento straordinario che ha fermato il mondo ha permesso di fare una profonda analisi delle nostre abitudini sia professionali sia personali. Abbiamo rivalutato i piccoli lussi quotidiani, tra cui il cibo di qualità, il vino, l’autenticità non solo dei beni che acquistiamo, ma anche dei rapporti personali. Abbiamo compreso quanto sia importante comunicare con valore e contenuto, quanto i rapporti siano fondamentali e quali fossero veramente solidi.
Per molti di noi vignaioli la prima fase di lockdown, seppure dolorosa da un punto di vista economico, ha rappresentato un momento utile per fermarci a riflettere sul nostro sistema di produzione. Abbiamo avuto il tempo di riappropriarci del nostro rapporto quotidiano con il lato più propriamente agricolo del nostro lavoro ma anche di riesaminare il nostro sistema impresa per capire quali cose si potevano cambiare. Nello stesso tempo abbiamo dovuto approntare delle strategie utili alla gestione degli stati di crisi, strategie che elaborano solitamente solo le grandi aziende strutturate ma che le PMI devono avere il coraggio di mettere in atto: apertura a modelli diversi di commercializzazione con ricerca ed esplorazione di nuovi segmenti, rapporto con la clientela con un’analisi più pronta e puntuale dei punti di forza e debolezza di ciascun cliente, rielaborazione di rapporti con i nostri dipendenti con la ricerca comune di una flessibilità nelle mansioni, attivando anche una serie di corsi legati alla conoscenza di strumenti informatici e di comunicazione. Detto questo, ci aspettavamo una risposta istituzionale più pronta ed efficace in questo secondo lockdown del settore. Chiudere indiscriminatamente tutti i locali senza il coraggio di dire che chi applicava i protocolli con criterio avrebbe potuto rimanere aperto, ha portato il settore della ristorazione in una situazione insostenibile economicamente e il vino italiano ne sta seguendo le sorti. Ma in futuro dovremo creare strategie sinergiche tra ristoratori e produttori, oltre all’intera filiera dell’indotto agroalimentare, per rinascere più forti di prima. Molti ora sono spaventati da una possibile terza ondata annunciata dai media e dai comitati scientifici. Questo è un dato di fatto ed un importante freno allo stato attuale dello sviluppo dell’economia, ma siamo chiamati a reagire con forza e determinazione per utilizzare questo momento per migliorare le nostre aziende, bisogna guardare la strada davanti a noi e non il dirupo in cui questa pandemia mondiale ha portato ciascun Paese.
Hai parlato in precedenza di risposte istituzionali. Secondo te il nostro Governo sta facendo tutto il possibile per contrastare, almeno nel mondo del vino, questa crisi?
C’è ancora tanto da fare. A mio giudizio è necessario un piano di rilancio del nostro settore attraverso misure efficaci e tempestive. Le Aziende hanno bisogno di avere un sostegno efficace per poter continuare ad essere competitive nello scenario mondiale. Oggi più che mai deve essere tracciato un progetto concreto per il futuro del vino italiano, un futuro che preveda tutte le realtà in gioco dai piccoli produttori alle realtà industriali, le PMI rappresentano per il nostro sistema vitivinicolo una grande risorsa anche sul fronte del presidio territoriale e dell’indotto economico che determinano.
Pertanto, è il momento che le piccole e medie imprese del vino italiano vengano ascoltate e soprattutto riconosciute nel loro valore. Sono consapevole di quanto sia difficile mettere insieme una realtà così eterogenea come quella del sistema delle PMI del vino italiane, ma questa diversità è anche un nostro grande punto di forza come già Mario Soldati presentava negli anni ’70 nel volume “Vino al Vino”. Bisogna puntare a fare una politica di brand efficace, non solo all’interno delle singole aziende, ma è necessario rilanciare il brand MADE IN ITALY nel suo complesso come garanzia di eccellenza, come testimonianza del nostro background culturale e storico, il modello del lifestyle che tutto il mondo per anni ha invidiato. E’ necessario creare un sistema Paese che possa sostenere non solo il comparto vitivinicolo, ma l’intero comparto manifatturiero di eccellenza. Necessario immaginare sostegni alle imprese per permettere investimenti mirati all’innovazione, alla promozione e comunicazione. Necessario creare incentivi per assunzioni di giovani. Questo è il momento per stimolare un confronto tra le diverse parti della filiera per far compiere al nostro sistema vitivinicolo quelle indispensabili trasformazioni. E sì, perché a mio parere, come ho spesso sottolineato in questi difficili mesi, non si può considerare Covid-19 la causa di tutti i mali del nostro settore. In tempi di crisi come questi ritenere i “nemici” delle nostre imprese, dei mercati, solo i fattori “esterni” sarebbe un errore imperdonabile. La pandemia ha messo in luce non solo le singole fragilità, ma anche le fragilità del mondo vino, portando ad un necessario cambiamento. Abbiamo assistito ad un’accelerazione di nuovi marketplace che sono diventati in poco tempo strategici come l’e-commerce oppure nuove modalità di consumo come il delivery. Dato il clima attuale, molti brand stanno facendo fronte a budget limitati in questo momento e la spesa in attività di comunicazione e innovazione ne risente ed in questo momento l’investimento dovrebbe essere più strategico che mai. Per questo sono necessari interventi tempestivi da parte del Governo al fine di assicurare che lo standard qualitativo non ne risenta e molte aziende altrimenti rischino di abbassare per necessità gli investimenti rischiando di ritrovarsi all’indomani della crisi pandemica poco competitivi ed aggravare la loro situazione.
La Pandemia come ha cambiato o cambierà nel mondo del vino?
Le ripercussioni vedranno una selezione degli operatori sui mercati ed una revisione profonda dell’offerta. Saranno necessarie politiche nazionali forti mirate allo sviluppo, alla promozione e all’innovazione delle aziende. Dovremo affrontare nuove sfide economiche, ambientali, sociali, dovremo riconcettualizzare l’offerta ed i canali di vendita in base alle mutate abitudini di consumo dei consumatori. Il vino durante il lockdown da prodotto di consumo tipicamente conviviale è tornato ad essere un protagonista del consumo domestico durante il pasto. Le parole chiave per la ripartenza saranno: autenticità, identità, innovazione, ecosostenibilità,
Il mondo del vino lavorerà sempre più in uno scenario binario con le cantine sociali e le cooperative da un lato e le aziende con produzioni premium dall’altro. Le prime lavoreranno su livelli di vino commodities e sostegno della loro mission sociale le seconde lavoreranno per continuare il lavoro fondamentale di branding dei territori, rivalutazione culturale delle denominazioni, innovazione qualitativa. Dovremmo difendere le nostre origini, tradizioni guardando al futuro con scelte coraggiose senza snaturare la nostra identità produttiva e culturale e fare squadra.
Il lockdown ha colpito maggiormente le grandi città ed i mercati più importanti per il consumo del vino come Europa e Stati Uniti oltre ovviamente la Cina.
Il cambio di abitudini di consumo ha creato un profondo danno del settore Horeca e di tutto il comparto legato al turismo “leisure e business”.
L’Asia sarà il mercato di riferimento più importante per il futuro, in occasione dell’Esposizione Universale 2025, di scena ad Osaka e contiamo in una ripresa negli USA più veloce che in Europa. Al momento ci sono più domande che risposte sul futuro post-pandemico del mercato globale del vino. I dati dimostrano come la maggior parte dei consumatori ha acquistato ed acquisterà ciò che conosce, ciò che trova rassicurante. I consumatori in questo momento, pariteticamente al 2000 o al 2008, non vogliono sperimentare, ma piuttosto bere qualcosa che li fa sentire a proprio agio e a cui sono legati da ricordi positivi, dai viaggi fatti in Italia o semplicemente i prodotti che da lungo tempo godono di una buona fama o reputazione sul mercato. Anche da parte dei buyers si assiste ad una razionalizzazione delle carte vini e delle scelte di ciò che viene acquistato. Molti buyers e retailers si stanno concentrando su un assortimento principalmente indirizzato a brand storici o particolarmente conosciuti.
Il segmento on-premise è stato quello principalmente colpito dal lockdown, prima, e dalle rigide misure di distanziamento. I costi di gestione sono molto elevati soprattutto nelle grandi città e necessitano di coprire almeno l’80/85% della capienza massima solo per raggiungere il pareggio. Anche i grandi nomi della ristorazione sono stati colpiti e stanno riprendendo posizione i ristoranti indipendenti. Durante i mesi di chiusura abbiamo assistito ad una percentuale importante di vendite di vini premium da parte di collezionisti ed appassionati. Si immagina che questa nicchia possa mantenere questa percentuale e possa aumentare la domanda di vini di valore che porterebbe ad una maggiore domanda di prodotti d’alta gamma in futuro
La volatilità che assistiamo sui mercati finanziari si riscontrerà anche sul mercato reale, vino incluso. Saranno mesi impegnativi, di ricostruzione e rinascita, mesi di nuovi progetti e nuove strategie, ma saranno mesi di opportunità sia di crescita sia di miglioramento.
Che consigli daresti ai tuoi colleghi per affrontare al meglio il prossimo futuro?
Il consiglio che mi sento di dare è quello di perseverare con determinazione e non abbandonare gli obbiettivi. La tempesta finirà e noi dovremo farci trovare preparati e competitivi.
Nei momenti di difficoltà bisogna fare strategie comuni efficaci, lasciare da parte le sterili divisioni e fare lavoro di squadra tra produttori, operatori di settore, istituzioni, dovremo essere vicini al canale horeca, sostenere il team degli agenti, creare nuove sinergie con le enoteche ed i distributori, creando un nuovo modello di commercializzazione complementare e non conflittuale.
La comunicazione sarà fondamentale. Una comunicazione di valore e contenuti. Avremo bisogno di proseguire l’attività di diffusione di cultura enogastronomica per creare maggiore consapevolezza nel consumatore. Bisognerà far crescere la professionalità a tutti i livelli.
Dovremo ascoltare il mercato, dare le risposte adeguate alle esigenze che si presenteranno. Ormai a tutti è chiaro che è in atto una vera e propria rivoluzione delle nostre abitudini sociali e lavorative. La più importante conseguenza è la necessità di modificare il proprio modo di comunicare, di adeguarlo ai nuovi canali da usare per creare, mantenere e aumentare i propri rapporti commerciali.
Sempre più, infatti, si ricorre e si dovrà ricorrere anche ai “canali Web”. Di per sé tanti di questi esistono da tempo, ma sono stati finora inesplorati, o comunque non visti come indispensabili, in particolare nel mondo del vino.
La necessità di riprendere la promozione e la presentazione dei vini è indubbiamente una necessità nel rispetto delle linee guida di sicurezza per la prevenzione. Indubbio che le nuove forme di comunicazione digitale sono e rimarranno fondamentali, ma gradualmente si dovrà tornare anche al rapporto “one to one”.
Usciamo un attimo dal discorso pandemia e veniamo a cose più piacevoli. La Scolca ha compiuto 100 anni ed è ormai una delle imprese vinicole più importanti di Italia. Che obiettivi ti dai per il 2021?
Le linee messe in atto all’indomani del lockdown prevedono una mirata politica di impresa dal punto di vista finanziario senza interrompere i progetti di investimento mirati al rinnovamento aziendale sia in termini di innovazione tecnologica, ambientale e di risorse umane. Fondamentale la formazione, l’attenzione per le nuove sfide ecosostenibili, la digitalizzazione.
Lavorare per crescere, per migliorare il livello produttivo per guardare al futuro con scelte solide. Non è nel dna de La Scolca e della famiglia Soldati l’immobilismo e la paura del cambiamento, quello che da 100 anni contraddistingue la storia aziendale è il coraggio, l’innovazione ed il dinamismo. Si continua ad investire e rafforzare la propria identità, autenticità in un importante impegno a mantenere una forte riconoscibilità in un mercato sempre più grande e sempre più affollato da molteplici proposte enologiche. Fondamentale l’impegno volto a comunicare avvalendosi di figure altamente qualificate professionalmente. Nulla viene lasciato al caso, convinti che in ogni dettaglio dalla cura dei vigneti alla scelta delle politiche commerciali o semplicemente il wording scelto per comunicare siano parte di un mosaico che deve rappresentare un’identità valoriale cominciata 100 anni fa e che ora guarda al futuro con una quinta generazione, mio figlio Ferdinando, che proprio quest’anno ha cominciato il primo stage di avvicinamento all’Azienda. Ogni percorso comincia con un primo passo, ma ogni passo deve rappresentare un punto fondamentale del percorso ed ogni percorso deve avere ben preciso l’obbiettivo da raggiungere, senza dimenticare il passato per costruire un nuovo futuro.
In estate abbiamo cominciato ad accogliere i nostri winelovers in cantina con nuovi programmi. Vediamo un futuro positivo rappresentato dal turismo di prossimità, un turismo che auspichiamo possa abbracciare anche il patrimonio culturale dei nostri territori, i luoghi d’arte, un turismo che possa apprezzare i paesaggi e le attività sportive che ciascun territorio può offrire con grande varietà. In questo momento il turismo enogastronomico rappresenta una fuga dalla città, esercita un’offerta ricca di fascino, rappresentano un’attrattiva le cantine immerse nella natura, dove anche lo spazio è un dono, le distanze sono naturali e garantite. L’emergenza sanitaria ha insegnato quanto siano importanti il benessere, il lusso delle esperienze di momenti semplici, l’importanza delle piccole cose, il valore delle esperienze.
Ultima domanda: il Gavi ha un grande passato ma sembra uscito leggermente dai radar della comunicazione del vino italiana anche se, a mio parere, è un bianco che nella massima espressione non è secondo a nessuno. Sei d’accordo e quali sono i motivi di questa poca comunicazione?
Sicuramente il Gavi come denominazione ha meno visibilità rispetto ad altre realtà di produzione di vini bianchi, penso ad esempio al Soave oppure alla Lugana o al Prosecco, ma non aderendo da anni al Consorzio, preferisco non dare giudizi sul lavoro altrui non conoscendone nel merito le attività di promozione svolte.
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