di Stefano Tesi
Conte Guicciardini è un’impresa toscanissima, che si autodefinisce “familiare” ma è in realtà strutturata su tre aziende diverse in zone diverse: Chianti Colli Fiorentini (Castello di Poppiano, 140 ha, che è l’azienda storica della famiglia da molti secoli), Morellino di Scansano (Massi di Mandorlaia, 46 ha) e Chianti Classico (Belvedere Campoli, 14 ha).
Con le sue circa 400mila bottiglie prodotte, appartiene a quella vasta fascia dimensionale media “non abbastanza piccola per coltivare un mercato hobbystico ma senza l’elasticità delle grandi aziende imbottigliatrici”, come la descrive il titolare, il conte Ferdinando. E’ insomma una tipologia complessa per la quale la crisi da Covid è al tempo stesso commerciale, logistica e sanitaria.
Come è stata gestita? C’è confronto tra produttori affini su come affrontarla?
In effetti la nostra struttura aziendale non facilita la flessibilità rispetto al mercato e ciò può crearci maggiori difficoltà. Non potendo contare sui grandi numeri, la scelta obbligata è l’affermazione della qualità legata al “terroir” aziendale. Siamo un produttore puro e tale vogliamo rimanere. A monte abbiamo solo la nostra vigna, che non ci fa sconti e ci responsabilizza totalmente. Abbiamo però alle spalle anche una lunga storia legata al mondo agricolo e credo che questo venga percepito. Fare buoni vini ed ancorarli sempre al territorio di origine è l’obiettivo a cui rimaniamo coerenti anche in questi tempi eccezionalmente difficili. In altri termini vogliamo essere identificati sempre di più come azienda produttrice, di medie dimensioni e di livello medio-alto. Nel nostro caso proprio la dimensione media e il carattere “volutamente” familiare ci hanno permesso di formare nel tempo una struttura di risorse umane consolidata e dotata di forte senso di appartenenza. Questo ci permette di affrontare le circostanze “come un sol uomo”. E’ un plus tutt’altro che trascurabile. Oggi tutti soffriamo, ma le difficoltà possono essere solo in parte attribuite alla dimensione aziendale: esse dipendono fondamentalmente dal fatto che il nostro mercato principale, l’HORECA, è stato quello più penalizzato dalla pandemia.
Ritiene che la crisi avrà conseguenze durature? C’è un piano a medio termine per affrontarle?
La crisi sanitaria è degenerata in una crisi economica che purtroppo avrà il suo epilogo in una crisi finanziaria. Questo colpisce particolarmente aziende come noi. Chi fa riferimento alla GDO ha sicuramente pagato meno dazio ed in qualche caso è addirittura cresciuto.
Senza dubbio il Covid ha stravolto le nostre prospettive. Di colpo l’obiettivo è cambiato: dallo sviluppo alla sopravvivenza. E questo ha riorientato le nostre scelte.
Sul piano della produzione è divenuto imperativo il controllo su costi e su investimenti, con grande attenzione a non compromettere la nostra struttura produttiva e a non penalizzare l’occupazione.
Dal punto di vista commerciale, lavorando con la ristorazione, la prima fase di lockdown ci ha proiettati in uno stallo sul mercato domestico, compensato solo parzialmente dall’export e in piccola parte dalla GDO.
Abbiamo quindi messo in campo un “marketing emergenziale” cercando di gestire con buonsenso il problema dei pagamenti e di rassicurare i clienti. Questo ha pagato nel periodo estivo. Durante il blocco autunnale ci siamo concentrati sullo sviluppo di nuovi strumenti commerciali tipo wine club e sulle prospettive di export nel periodo tardo primaverile ed estivo.
Abbiamo sempre comunicato al mercato l’importanza della stabilità, dell’esperienza e della storia familiare come nostro punto di forza e di riconoscibilità e in tanti casi ciò ci viene riconosciuto. Questi saranno gli obiettivi anche dopo il Covid.
Fra aziende c’è confronto su quest’ argomento?
Certamente, anche se non istituzionalizzato. Ogni volta che ci si incontra è l’argomento principe, ma nessuno ha il rimedio per tutti. L’obiettivo di ognuno è la sopravvivenza. Ma poiché ogni attore ha le sue caratteristiche specifiche, lo stesso problema ha risposte non sempre coincidenti.
Qual è o quale avrebbe potuto essere il ruolo dei consorzi di tutela nel fronteggiare la pandemia?
I consorzi sono formati da aziende molto diverse e il loro ruolo è l’affermazione della denominazione, non la difesa del singolo. Il “focus” dei consorzi dovrebbe perciò concentrarsi sul mantener viva l’attenzione sulla denominazione e mettere in campo azioni specifiche per promuovere nuove opportunità di mercato su tutti i canali, fra cui particolare accordi quadro con la GDO di cui potrebbero beneficiare in modo particolare le piccole medie imprese.
Il calendario mondiale delle fiere vinicole è stato rivoluzionato. Tutto tornerà come prima o può essere l’occasione per ripensare qualcosa del “sistema”?
Credo di no: le fiere ed il contatto diretto con i clienti rimarranno sempre importanti. Non si potrà farne a meno. Ma dovremo essere più selettivi nello scegliere le manifestazioni a cui parteciperemo. Il lockdown ha obbligato non solo noi produttori, ma anche i nostri clienti, ad utilizzare intensivamente e molto più che in passato i mezzi informatici. Ed è probabile che questo possa tradursi in una maggiore efficienza del sistema: le nuove tecnologie, le video conferenze e i confronti resteranno come strumento utile e a basso costo in tante circostanze. Le fiere di settore che sopravviveranno dovranno forzatamente tenerne conto.
In questi mesi di crisi ci sono scelte di cui è particolarmente soddisfatto?
L’ inattività ci ha dato modo di concentrarci sulla pianificazione della vendita on-line, in particolare sul Conte Guicciardini Wine Club. Sul fronte produttivo sono lieto di aver potuto mantenere integra la nostra forza di lavoro; in campo commerciale di aver fatto quanto potevamo per non perdere i nostri clienti tradizionali. La scelta di implementare le vendite online e di continuare a seguire i nostri clienti in modo assiduo si sta rivelando corretta, come anche non aver rinunciato del tutto a migliorare la qualità mediante investimenti mirati in vigna ed in cantina.
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