di Andrea Petrini
Beniamino D’Agostino, alias Botromagno a Gravina di Puglia, suoi alcuni fantastici vini dal rosato Lulù al magico bianco Poggio al Bosco, uno dei migliori in Italia secondo il mio modesto parere, e il rosso Pier delle Vigne.
A lui ho deciso di dedicare il primo Delivery Igp.
Beniamino l’anno prossimo fate 30 anni. Raccontati un po’ la storia della tua azienda.
Tutto iniziò a settembre 1991 un giovane avvocato (io) fu chiamato al capezzale della Cantina Cooperativa di Gravina in Puglia. In breve coinvolsi anche mio fratello Alberto in quella che a tutt’oggi è la più grande storia di amore della mia vita dopo mia figlia e mia moglie. Trasformare una cooperativa in un’azienda modello dedita alla produzione di vini di qualità con grande attenzione all’ambiente è una sfida vinta, COVID permettendo. La Botromagno oggi produce 250mila bottiglie da 45 ettari vitati di proprietà tutti condotti in regime biologico. Gestiamo l’azienda in regime di sostenibilità ambientale compensando le emissioni di Co2 grazie a 35 ettari di bosco ed ai pannelli solari che ci forniranno, entro il 2022 tutta l’energia di cui abbiamo bisogno.
Prima di questa crisi, qual è stato il momento per voi più difficile?
Due le scosse più forti l’11 settembre e la crisi economica dei mutui subprime. Il nostro mercato più importante è quello americano e queste due crisi, capitate peraltro nel nostro massimo momento di espansione, ci misero in grave difficoltà. Però voglio dire una cosa fuori dal coro che pochi sottolineano. Il mercato Italiano quindi quello interno è il più importante per quasi tutte le aziende che producono vino di qualità in Italia e nessuno dice che oggi il COVID può essere considerato un colpo di grazia ma la crisi viene da lontano ed è endemica legata alla crisi economica in cui l’Italia si è avviluppata per causa di una classe politica non all’altezza del tessuto produttivo. Si ha un bel dire che ognuno ha la classe politica che si merita, la verità è che le eccellenze imprenditoriali in Italia non mancano ma a causa di un sistema burocratico-politico che non si vuole innovare ed è sostanzialmente parassitario, appena una azienda ha successo va a pagare le tasse altrove e questo a causa di un sistema legislativo-politico-giudiziario non più sostenibile per un paese moderno.
Ovviamente i piccoli come noi non potendo scappare muoiono in patria.
Cosa vi ha insegnato questa Pandemia: c’è qualche errore di cui non vi eravate accorti?
Ci ha solo mostrato quella che è la vita. Banale da dire ma assolutamente concreto. Nulla è per sempre! La pandemia ci ha insegnato che non si può mai dare nulla per scontato o acquisito. Per me poi, che sono un convinto assertore del rispetto della natura senza essere un talebano ambientalista, tutto ciò non è una sorpresa, prima o poi doveva accadere. In realtà, anche se posso sembrare troppo radicale, il vero errore di cui non ci accorgiamo mai è l’essere umano sul pianeta terra, provate ad immaginare che paradiso sarebbe senza l’uomo.
In realtà quello che davvero ho imparato da questa pandemia è che “piccolo è bello” non diventi ricco rimanendo piccolo a meno che non ti chiami Quintarelli o Romanèè Contì, ma da piccolo sei più flessibile e puoi affrontare più rapidamente e forse più efficacemente crisi come quella attuale.
Che peso può avere l’e-commerce in questo momento? E può avere un futuro quando tutto ciò sarà finito?
L’e-commerce è già il futuro, i lockdown in tutto il mondo hanno accelerato questo processo avvicinando anche consumatori anziani al mondo dell’e-commerce che non soppianterà mai il piacere di andare per botteghe artigiane o mercatini delle pulci ma che per il resto soppianterà sempre più le vendite tradizionali, ovviamente per un ciclo, che io penso lungo, ma poi si tornerà indietro piano piano, Giambattista Vico non sbagliava, la storia è fatta di corsi e ricorsi, e questo per me vale anche per il commercio. Non dimenticate che già prima di questa crisi i centri commerciali in particolare in USA erano già in difficoltà e stava tornando il pizzicagnolo sotto casa.
Però non credo tanto all’e-commerce frammentato aziendale e fai da te, i prossimi anni saranno delle piattaforme in grado di offrirti dallo spillo all’elefante (stile Harrods)
La gdo considerata una linea distributiva di seconda fascia… E’ ancora giusto pensarla così?
Così com’è ancora oggi lo è ancora, troppa roba sugli scaffali e 2||3 dei consumatori hanno bisogno di essere guidati.
Vent’anni fa Esselunga mi chiamò, avevano intenzione di organizzare gli scaffali del vino come una vera e propria enoteca con tanto di training per il personale dedicato, con consigli su cosa bere, consigli per gli abbinamenti. Poi tutto abortì. Mi auguro che qualcuno rispolveri questo progetto, solo allora la GDO sarà una vera opportunità per tutto il mondo del vino e non solo per chi fa politica di prezzo ed i grandi marchi.
Infine: cosa è più utile la conoscenza dei tuoi vini: le guide tradizionali, quelle straniere, il web, i tuoi canali interney
Nel mio caso rispondo senza dubbio giornali stranieri e canali social sono quelli che ti danno immediatamente la percezione se le cose funzionano oppure no. Le guide italiane dal punto di vista commerciale sono morte da tempo nel senso che non ti danno più nulla. Poi molto importante, è inutile essere ipocriti, è produrre buoni vini ed avere un buon rapporto personale con le penne “influenti” godere della stima non solo produttiva ma anche personale di critici qualificati fa ancora la differenza.
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