Ce ne sono cose da dire dopo oltre 48 ore piene immersi nell’eccellenza del vino di Campania, Basilicata e Calabria nel segno di un’iniziativa editoriale che conta di dare un piccolo contributo rivoluzionario al modo di raccontare il vino in Italia. Vale la pena a questo punto riordinare le idee.
La nuova guida Slow Food, Slow Wine 2011, è nella sua fase più calda: la verifica nel bicchiere del progetto. Dico “più calda” e non “più importante”.
Quella credo, in linea con l’idea di fondo del lavoro, si sia svolta tra febbraio e maggio: a piedi, in auto, in traghetto, in treno e (perché no?) in monorotaia un’armata pacifica ha raggiunto e fatto fuoco sui suoi obiettivi strategici e questi, invece di scansarsi hanno allargato le braccia e le sono andati incontro. L’accoglienza ricevuta ha dato il segno, per quanto riguarda la mia esperienza, che gli “ispezionati” e gli “ispettori” erano sostanzialmente dalla stessa parte e aspettavano ormai da tempo il momento per incontrarsi in vigna.
Sembra lontana quella riunione di gennaio al castello di Taurasi, in occasione di una delle prime prove di collaudo di un gruppo che solo un mese dopo sarebbe partito frammentandosi in tanti ricettori umani sul territorio. Con tutte le prudenze di chi è di fronte a una cosa nuova.
La visita didattica, ricca e approfondita, del mattino sotto la pioggia, solo in parte chiarì la profondità di un progetto che vuole essere innovativo ma che ha un’anima antica, un progetto che affonda le sue radici nell’impostazione originaria del lavoro della Associazione e che invero pochi di noi potevano conoscere davvero, essendo quasi storia di famiglia.
Ricordo la tensione sul volto di Luciano Pignataro, nostro coordinatore per Campania, Basilicata e Calabria, e le ansie mie e dei colleghi al termine dell’intervento di descrizione del progetto da parte di Giancarlo Gariglio che incontravo per la prima volta in quella occasione. Oggi che lo ho ritrovato al Savoy Beach più disteso e sorridente di come lo ricordavo deduco che più di ogni altro, sebbene nulla lo facesse pensare, patisse i dolori di un parto impegnativo che già sta regalando, a distanza di pochi mesi, grande felicità.
Dove eravamo quel giorno? Del progetto vino emergeva chiaramente una sola priorità imprescindibile: ricominciare da dove si era iniziato. Ma arriveranno, fin lì, la memoria e il cuore? Era la domanda.
Dopo 2000 chilometri circa, due paio di scarpe buttate per il troppo fango di una primavera e di un inizio estate pessimi e gli esiti delle degustazioni dei campioni arrivati dalla campagna abbiamo percorso in lungo e in largo, credo si possa dire di si. E’ stato semplice, tutto sommato.
Mi piace fantasticare che tutto sia iniziato così. Una mattina la Chiocciola si è guardata allo specchio e si è trovata di un colorito grigio, più grigio di quello che ricordava essere il suo naturale.
Una voce con l’accento di Bra, nella sua testa, gli avrà sussurrato: “Ehi, ma cosa c’è di piu’ elementare, in fondo, nel vino che raccontare gli uomini, le comunità, i territori, i terreni, le pratiche e, infine, il vino stesso?”. “E cosa di più faticoso?” gli avrà sussurrato un’altra, quella che in genere la infastidiva mettendosi di traverso. Allora le sarà passata davanti agli occhi la sua vita e si sarà esaminata meglio allo specchio. Allora ha deciso: caricandosi la sua conchiglia sulle spalle, ha disteso il suo lungo piede sulla terra e si è messa in movimento lasciando la sua traccia luminescente, tanto visibile che chiunque la potrà seguire.
Ci appartiene dopo alcuni mesi di lavoro, oggi, un po’ di più, se mai ce lo fossimo perso per strada, un modo di raccontare la bevanda di Dioniso che risale a un tempo nel quale le aziende erano una frazione di quelle attuali e quindi si poteva toccarle tutte.
Sarà perché non ha mai perso mai il contatto con la campagna e le comunità, attraverso i Presidi e le Comunità del cibo, sarà perché ha nella sua dimensione orizzontale una forza pervasiva come poche altre realtà, ma Slow Food ha saputo trascinarsi dietro, con il proprio entusiasmo e un’idea pulita della quale tutti vorranno in futuro arrogarsi la paternità, centinaia di degustatori di tutta Italia. Io sono di loro. E voglio sperare.
Appendice
Cosa dire delle degustazioni appena condotte? Senza togliere ai lettori il gusto della scoperta, dirò che l’emozione degli Aglianico del Vulture, tutti indistintamente eccellenti, è stata seconda solo alla esaltazione provocata sui Greco di Tufo campani. Che la Calabria ha stupito con alcuni rosati e dolci, e che il gaglioppo trova una sua strada di piacevolezza e finezza. Infine grazie per i Taurasi e i vini dei Campi Flegrei che resistono alla cementificazione. Gli aglianico, anche del salernitano, e i piedirosso ci hanno fatto sognare. Chiosa finale, una considerazione: la Campania dei bianchi è un avversario quasi imbattibile.
Dai un'occhiata anche a:
- Buonissimi 2024: raccolti 246.760 euro. Record assoluto in Campania
- L’ Etna a Sicilia En Primeur in cinque etichette imperdibili
- La Festa dell’Antica Pizza Cilentana di Giungano: 45.000 presenze e oltre 30 mila pizze
- Lo spirito giusto a “Tuscany Spirit Festival 2024”
- Montella e Roccamonfina e il loro frutto identitario: la castagna IGP
- “La Cena Straordinaria” a Catanzaro. 1000 commensali per la solidarietà
- Michele Pascarella b2b Sasà Martucci: l’evento benefico presso Napoli on the Road
- World Fiordilatte Summer di Latteria Sorrentina: perchè il Fiordilatte ha vinto sulla mozzarella di bufala