di Carlo Macchi
Ci sono degustazioni che sembrano semplici e quasi scontate e invece non lo sono. Una così è stata quella che noi Giovani Promettenti abbiamo fatto al Consorzio del Frascati, durante la nostra riunione di qualche settimana fa.
Cosa volete che sia degustare una trentina di Frascati, nelle varie declinazioni “base” “Superiore” “Riserva” e “Cannellino”? Una cosa semplice per dei degustatori seriali come noi: se però iniziamo a farci delle domande non tanto sulla qualità del vino ma sulle diversità emerse dall’assaggio allora la cosa si complica e c’è bisogno di agronomi e enologi locali per riuscire a farci capire qualcosa e a fugare dubbi che, per quanto mi riguarda, risalivano al pleistocene.
Ma prima di fugarci i dubbi due notizie sulla qualità dei Frascati degustati: consideriamo in primo luogo che siamo a novembre, cioè un anno dopo la vendemmia di vini che, in teoria, dovrebbero durare lo spazio di un respiro. Invece tutti i Frascati “base” degustati erano assolutamente in forma e i Superiore e i Riserva addirittura giovanissimi. Infatti uno dei punti della nostra degustazione è stato quello relativo al momento di beva di questi vini, che piano piano si sta allungando e spostando da quello che l’immaginario collettivo crede, specie per i Superiore e la nuova tipologia Riserva.
Per quanto riguarda a qualità dei vini eccovi qua sotto quelli che ci sono piaciuti di più, in rigoroso ordine casuale: li abbiamo selezionati con il nostro solito sistema “a maggioranza”, cioè i vini devono essere piaciuti ad almeno 3 dei 4 degustatori, cioè Carlo Macchi, Luciano Pignataro, Roberto Giuliani e Andrea Petrini (Lorenzo Colombo e Stefano tesi erano assenti giustificati).
Aldilà del discorso qualitativo la cosa che ci ha colpito di più è stata la diversità, spesso notevole , tra i vini: qualcuno puntava verso il frutto bianco con bocca piena e armonica, altri andavano su note più speziate e vegetali, magari con un’acidità abbastanza marcata: nel mezzo a questi due estremi c’erano varie sfumature, tanto da farci domandare quale fosse la reale tipicità del Frascati.
E qui ci sono venuti i contro i tecnici spiegandoci cose che sono davanti agli occhi di tutti ma spesso non si riescono a vedere. Tu infatti pensi che Frascati sia una denominazione “a senso unico” cioè quasi monovarietale, tutta piantata su terreni simili e praticamente alla stessa altezza.
In realtà questo è falso come una moneta da tre euro e lo si è sdoganato solo perché in passato da Frascati arrivava comunque un mare di vino di qualità non certo alta, e come fai a vedere differenze sostanziali in un mare in movimento.
Oramai il mare si è praticamente asciugato e, dovendo puntare sulla qualità e non sulla quantità è bene dare qualche dato e qualche spiegazione.
Il Frascati nasce da un uvaggio tra malvasia bianca di Candia (50%), trebbiano toscano (10-20%) e malvasia del Lazio (puntinata 10-40 %), a cui si aggiungono gli storici bellone, greco, trebbiano giallo e bombino fino ad un massimo del 30%, nonché altri vitigni autorizzati dalla regione Lazio fino ad un 15%.
Ora, con una diversità ampelografica del genere, come è possibile avere vini simili? Ma non è finita qui: i vigneti del Frascati partono da circa 100 metri sul livello del mare e arrivano a quasi 400, con terreni ed esposizioni che variano continuamente.
Quindi uve e uvaggi diversi da cantina a cantina, terreni, esposizioni e altezze diverse: come è possibili fare vini simili in questa diversità? Quasi sempre è impossibile e quindi possiamo dire che la vera scoperta relativa al Frascati da parte di noi IGP è che non esiste un Frascati (buono) ma ne esistono diversi tipi e forse sarebbe l’ora che queste caratteristiche venissero capite e apprezzate sia sul mercato locale che altrove.
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