di Giulia Gavagnin
“Avanguardia”, termine abusato, mutuato dal gergo militaresco, era il reparto che precedeva le truppe allo scopo di proteggerle da improvvisi attacchi nemici. Erano quelli che “venivano prima” e si assumevano perciò i maggiori rischi. In ambito letterario è avanguardista colui il quale non opera nel solco della tradizione, ma cerca di andare oltre o, appunto, “avanti” agli altri, colui il quale non si accontenta di essere epigono, ma intende annusare e interpretare ciò che ancora non è e più avanti sarà. Assumendosi, ovviamente, dei rischi. L’avanguardista se ha successo diventa un classico, il suo nome e le sue opere si imprimono nella memoria della gente, potrà essere sopravanzato da futuri avanguardisti ma non dimenticato.
Non posseggo strumenti divinatori per affermare con certezza che Davide Caranchini, stellato dal 2018, mente e patron di Materia a Cernobbio – nota destinazione dell’elite economica mondiale su quel ramo del Lago di Como – diventerà a tutti gli effetti un “classico”, che i suoi piatti troveranno un posto al sole nell’Olimpo gastronomico nazionale come il riso oro e zafferano, la passatina di ceci, il parmigiano in quattro/cinque consistenze, l’insalata 21 31 41, perché forse è ancora presto, ha appena 30 anni e di vita davanti ce n’è in abbondanza. Tuttavia, che Caranchini sia in questo momento qualche metro avanti a molti della sua generazione e anche qualcosa in più, che sia un compositore originale e sinfonico, che i suoi temi dissonanti finiscano in seducenti armonie, che, in poche parole, parli già un linguaggio universale pur partendo da presupposti non ortodossi (avanguardistici, appunto) , è segno che ci troviamo di fronte a un fuoriclasse. Che potrebbe diventare uno degli chef più influenti del nostro Paese.
Nelle stanze volutamente minimali di “Materia”, una gestione rigidamente familiare tripartita (originariamente era quadripartita: oltre a Davide in cucina, Ambra in sala e Luca alle arti enoiche, c’era Marco, purtroppo recentemente mancato a seguito di un tragico incidente) officia percorsi di gusto ispirati dalle iperboli danesi e uniformati dal rigore francese, con impercettibili concessioni alla scuola spagnola. Redzepi e Roux i maestri riconosciuti del giovane comasco. L’Italia è il tema di sottofondo, con i suoi ingredienti inconfondibili e la naturale leggerezza: quando Caranchini saprà essere più “italiano” come ha saputo fare Massimo Bottura allora, probabilmente diventerà imbattibile.
Con l’ausilio delle cento erbe della serra di proprietà, Caranchini dipinge affreschi dove le interiora sono ingentilite, le fermentazioni mai troppo spinte, il vegetale regna, gli amari emergono laddove devono, l’interlocutore viene colpito ma non necessariamente spiazzato nei soliti esercizi di stile di quelli che devono sempre far vedere quanto sono bravi. Dicevano che era estremo, lui stesso mi dice che la pandemia l’ha fatto riflettere, che si è fermato, ha corretto alcuni tiri, riveduto alcuni piatti in carta, ricercato strade più armoniche, percorsi universali.
Il menu contemporaneo si chiama “Revolution Revival”, si compone di 5, 7 o 12 assaggi, in grado di arditezza crescente, c’è molto di lacustre e anche di selvatico, i colori sono tendenzialmente scuri, carichi di concentrazioni, sapori forti, pesci di lago e interiora si incontrano in un modo che non può lasciare indifferenti.
L’ouverture è affidata a una piccola icona, assai forte nell’immagine, la panna cotta ai ricci di mare con spuma di cervello di vitello e polvere di capperi, quasi “uliassico” nell’incontro tra il salmastro e il selvatico, sorprendente per la fusione di elementi morbidi, senza il croccante che va tanto di moda.
Il vento del Nord soffia quando ci si approccia all’insalata di cavolo rosso sottaceto, midollo affumicato, latte di mandorla amara e caviale, un piatto eccellente per la complessità degli accostamenti, tra un lattiginoso dolce, una fermentazione, un’affumicatura, e il connubio cavolo rosso/caviale che sposa miseria e nobiltà.
Scampo, ginepro, pompelmo ed elicriso è mediterraneo e collinare, esplode, ogni ingrediente è equilibrato, nessun sovrasta l’altro.
Anche Caranchini, come molti altri illustri colleghi, reinterpreta la cucina di casa, la sua colatura di alici parla il verbo del “garum” di agone e amchoor, polvere di mango acerbo essiccato, che prima di sedermi qui –confesso-non avevo mai sentito nominare, tanto per far capire agli scettici e agli asettici che la cucina è anche cultura, amplia gli orizzonti della mente oltre che quelli papillari. E qui ce ne sarebbe da dire, perché un trentenne che fa il garum con i pesce di lago e lo corregge con il mango acerbo chissà cosa riuscirà a fare tra cinque anni.
Il piccione i due servizi, piatto obbligato nel percorso dello chef contemporaneo per cui Caranchini era già famoso, è tra i migliori del Paese, quest’anno con linfa di betulla fermentata e sambuco sottaceto, forse il piatto più debitore alle latitudini scandinave ma non per questo meno entusiasmante.
Menu ristorante Materia a Cernobbio
“Materia” è oggi una tappa obbligata per le menti curiose di sapere come potrebbe evolvere la cucina italiana. Indica una delle strade, non sappiamo ancora se ve ne sarà una sola o più d’una, magari del Caranchini d’oggi non resterà nulla e lui stesso cambierà percorso. Chissà. In prospettiva, tuttavia, se ciò che mostra oggi dovesse avere un seguito corroborato dalla sicurezza della maturità, potrà scrivere qualche bella pagina di storia gastronomica italiana.
Materia
Via Cinque Giornate 32
22012 Cernobbio (CO)
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