Il mondo del vino richiede sempre più a gran voce professionalità in grado di costruire un futuro fatto di qualità e competitività. Lo scandalo Brunello, nel 2008, in tutta la sua violenza, ha dimostrato come il muoversi nel rispetto delle regole salvaguardi non solo l’immagine delle aziende ma soprattutto il buon nome di un intero territorio sul quale, in mondo globalizzato che corre sul filo della rete, le ripercussioni in termini di credibilità possono essere importanti. Sottoposte alla continua necessità di trovare soluzioni a problemi anche complessi, di aggiornarsi e districarsi in una selva di norme ed enti, le aziende ricorrono sempre più spesso all’assistenza, nelle questioni legali, di consulenti specializzati.
Dalla fine degli anni Novanta l’Unione dei Giuristi della Vite e del Vino lavora e studia sulle norme del diritto vitinicolo, branca di lavoro che si inquadra nel più ampio ambito della disciplina comunitaria. Il settore della assistenza legale in questo campo va crescendo di pari passo con le esigenze e l’esperienza delle aziende italiane grandi e piccole. Abbiamo chiesto dettagli su questa frontiera di specializzazione poco conosciuta del diritto, all’avvocato Marco Giuri, Consigliere Nazionale UGIVI e Responsabile della Delegazione Toscana UGIVI.
Come e quando nasce l’Ugivi?
L’Ugivi (Unione Giuristi della Vite e del Vino) è un’Associazione indipendente e senza fine di lucro che nasce a Milano nel 1997.
Fanno parte dell’Associazione avvocati, magistrati, docenti universitari, personalità ed esperti che hanno acquisito particolari conoscenze nelle materie giuridiche vitivinicole.
Che tipo di attività si propone e come la svolge?
Scopo dell’Associazione è approfondire gli studi in materia di diritto vitivinicolo nel campo delle discipline comunitaria, nazionale e internazionale, compreso anche il profilo delle “bevande spiritose”.
Insieme l’Associazione Internazionale Giuristi della Vite e del Vino siete le due principali entità che si occupano di queste problematiche. Crede che sia un settore che può oggi o potrà in futuro interessare professionalmente molti legali?
Credo che il settore sia in forte espansione anche se le competenze spesso non sono al passo con tale spinta.Negli ultimi anni la vitivinicoltura italiana si è molto sviluppata.
Le aziende hanno acquisito maggiori dimensioni e molte di esse operano anche a livello internazionale con ottimi risultati. Queste nuove realtà del vino, con i loro imprenditori, necessitano e richiedono di continua assistenza legale soprattutto per quanto riguardai contratti di distribuzione internazionale, i rapporti con le reti commerciali in Italia, le acquisizioni di terreni, i rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Il settore certamente richiede una fortissima specializzazione che non si realizza sui “banchi di scuola” ma direttamente “in campo”, al fianco dei viticoltori.
Poi ci sono le normative, che cambiano rapidamente. Le aziende devono aggiornarsi per tutto ciò che riguarda le modifiche in ambito europeo relative alle DOC e IGT, che presto diventeranno DOP e IGP allineandosi alle norme per i prodotti agroalimentari a Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta”.
Come è articolata l’associazione a livello nazionale e internazionale?
L’associazione prevede un Consiglio Nazionale e delle Delegazioni Regionali. A livello internazionale abbiamo rappresentanti in alcuni paesi europei.
Come è rappresentato il Sud Italia in questa Unione?
Il Sud Italia non è molto rappresentato al momento. E’ molto forte la presenza dell’Ugivi in una Regione assai importante per il vino e cioè la Sicilia. Sarebbe certamente auspicabile una maggior presenza della ns. Associazione nelle terre del Sud in momento come l’attuale che vede le Regioni meridionali assolute protagoniste sulla scena del vino. Ma prevedo nei prossimi anni una forte espansione anche nelle Regioni del meridione.
Io personalmente seguo il Sud da alcuni anni ed in particolare la zona della Campania e della Puglia, regioni che mi “appartengono” per estrazione ed origine e dove lavoro con grande piacere e con veri professionisti.
Come professionisti seguiamo anche la Sardegna in quanto uno dei ns. esperti viene da quella terra ricca di sapori, di storia e, ovviamente, di ottimi vini.
Il vostro gruppo è formato di avvocati civilisti e penalisti. Che tipo di servizi offrite?
L’Associazione si compone sia di avvocati civilisti che penalisti ma anche amministrativisti. Nella compagine associativa vi sono però anche Professori, esperti del settore nonchè commercialisti e magistrati. Non si può parlare di servizi offerti da Ugivi ma certamente di contributi. Questo almeno è l’intento. Ugivi vorrebbe con la sua attività istituzionale essere “l’interprete” delle volontà legislative (spesso contorte o almeno complicate) cercando di applicare le stesse alla realtà del viticoltore. In buona sostanza l’associazione oltre che cercare di rendere più semplice il panorama normativo vinicolo, cerca di spiegarlo, di diffonderlo e, se possibile, di formulare proposte di modifica laddove necessario.
Che specificità ha il mondo del vino, rispetto ad altri, nelle questioni legali?
Come accennato, il settore del vino ha delle peculiarità che derivano dalla specificità normativa. Si pensi alle questioni delle etichette e delle corrette indicazioni che devono contenere, si pensi al rispetto dei Disciplinari di Produzione, si pensi ancora alle vicende della sicurezza alimentare, tanto per fare degli esempi.
Quali sono i casi più ricorrenti che trattate?
Piuttosto che trattare casi, Ugivi segue le vicende normative e le sue evoluzioni.
Abbiamo seguito con grande attenzione il dlgs 61/2010 che contiene le norme a tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche. Sono norme di matrice comunitaria come oramai tutte quelle emanate nel campo dell’agroalimentare.
In passato abbiamo seguito e cercato di dare il ns. contributo sui cd. controlli “erga omnes”.
Quale è lo stato dell’apparato delle norme giuridiche del settore vino in Italia e in che tipo di quadro si inserisce?
La normativa piu’ importante in Italia e’ contenuta nel decreto legislativo di recente emanazione n. 61/2010. Esso contiene le norme a tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche. Sono norme di matrice comunitaria come oramai tutte quelle emanate nel campo dell’agroalimentare.
L’Italia, forse, avrebbe dovuto avere un peso più importante nelle scelte compiute a livello europeo vista la sua tradizione e, in primis, la qualità dei prodotti immessi nel mercato globale.
Comunque, facendo una valutazione di massima, le disposizioni inserite nei regolamenti, nelle direttive, fino ad arrivare alla normativa nazionale si potranno “modellare” alle esigenze dei produttori italiani.Quanto alla giurisprudenza essa ha rivestito e riveste tuttora un ruolo di primo piano nel nostro settore.
La soluzione dei casi pratici riporta la teoria giuridica nella vita e nel lavoro quotidiano.
Spesso, infatti, proprio partendo dal fatto che le scelte sono effettuate a livello europeo, e che quindi devono tentare di riavvicinare la normativa di Stati assai differenti per cultura, evoluzione normativa, sussistono dei vuoti normativi o dei dubbi interpretativi che vanno integrati a livello giurisprudenziale per completare e dare quella certezza del diritto (e della sua corretta applicazione) che il produttore ha urgenza e necessità di conoscere.
Quale è l’aspetto e la questione normativa, nel vino, più spinosa o lacunosa da affrontare in questo momento?
Un profilo di fondamentale importanza che si avvia, seppur lentamente, a completamento è costituito dall’adozione, in materia di etichettatura, di un provvedimento normativo a garanzia e tutela dei prodotti di origine.
Lo scorso 6 ottobre è stato approvato all’unanimità dalla Camera dei deputati il ddl 2260 recante la disciplina per la tutela del made in Italy. Lo scopo è quello di agevolare il consumatore nella scelta di un prodotto con indicazioni “trasparenti” e garantire la certezza delle indicazioni e del diritto, per i produttori.
Lei poco prima dello scandalo Brunello scoppiato al Vinitaly dei veleni ha messo giù un decalogo contro l’enopirateria. Di cosa si tratta?
L’enopirateria consiste nell’utilizzo senza alcun titolo di un nome o di un marchio, oppure nell’utilizzo di una denominazione, anche formalmente corretto, ma discostandosi ad esempio dalle previsioni del disciplinare per quanto riguarda la produzione.
Il decalogo che ho messo a punto presentato qualche anno fa costituisce uno spunto, un suggerimento per tentare di ostacolare la diffusione dell’enopirateria.
I 10 punti dovrebbero, a mio avviso, essere attuati di concerto tra tutti i soggetti in gioco, produttori ed istituzioni, tutti chiamati a tutelare la genuinità del prodotto.
Il decalogo contro l’enopirateria prevede:
1 – registrare il marchio dell’impresa (cd. marchio individuale);
2 – controllare e monitorare il mercato per la difesa del marchio individuale;
3 – registrare la denominazione come marchio collettivo; successivo monitoraggio e controllo del consorzio nelle aree di interesse;
4 – creare un osservatorio permanente del ministero delle attività produttive in collaborazione con l’ICE per monitorare il fenomeno e predisporre interventi di difesa;
5 – attivare presso le sedi ICE, gli sportelli camerali, i consolati e le ambasciate nei paesi in cui avvengono le contraffazioni, uffici in grado di fornire informazioni e una prima assistenza legale;
6 – creare di un fondo governativo specifico a disposizione dei produttori e dei consorzi per la difesa delle loro produzioni nei paesi a maggior rischio di contraffazione;
7 – promuovere convenzioni con studi legali specializzati attivi nei paesi maggiormente critici;
8 – avviare azioni legali di contrasto al fenomeno «enopirateria»;
9 – stimolare e incentivare accordi bilaterali tra Italia e paesi maggiormente esposti;
10 – promuovere campagne preventive di difesa delle denominazioni e dei marchi (anche su iniziativa delle regioni) nei paesi a maggiore penetrazione del «food and beverage» italiano.
La lezione del Brunello cosa ha cambiato nella sua lettura di fenomeni come la contraffazione di prodotto o di marchi? E come?
Sinceramente credo che la vicenda del Brunello sia stata erroneamente e volutamente enfatizzata, il tutto a danno del Made in Italy e della nostra immagine del vino in Italia e nel Mondo. La questione del Brunello è stata poi avvicinata in modo scorretto alle passate e ben più gravi vicende del “metanolo”. Si tratta di due ambiti totalmente diversi e con una pericolosità “sociale” assai lontana. Partiamo dal fatto che tutte le norme in materia agroalimentare, prima ancora che difendere l’origine e la provenienza, difendono la salubrità del prodotto. Ecco la vicenda del Brunello non c’entra niente con questo aspetto, mentre all’opinione pubblica è stata cosi artatamente presentata.
La questione del Brunello attiene invece al rispetto dei disciplinari di produzione che è cosa ben diversa.
Penso che la vicenda del Brunello permetterà ai produttori in futuro di avere maggior attenzione al rispetto delle regole (anche se non condivise del tutto) nella produzione e nella commercializzazione.
Come anche sostenuto da un importante esperto del settore, occorre che si passi ad un “approccio etico” anche nel produrre il vino.
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