di Raffaele Mosca
Pinot Bianco, Erbaluce, Grechetto, Vermentino. Un quartetto vincente di vini bianchi slanciati, verticali, meravigliosamente estivi – ma non banali! – assaggiati nell’ultimo mese e mezzo e ideali da stappare nelle sere d’agosto, in accoppiata alla cucina di mare o d’orto.
Eccoli qui:
Castello di Spessa – Collio Pinot Bianco Santarosa 2020
Tra i vitigni internazionali, il Pinot Bianco è forse il più “italiano” in assoluto, perché, in effetti, non c’è posto all’estero dove dia risultati più interessanti di quelli che dà in Alto Adige e nel Collio. Non è un caso che alcune aziende friulane abbiano deciso di farne il loro cavallo di battaglia: tra queste c’è Castello di Spessa, cantina-maniero e struttura di wine hospitality di lusso a due passi dal confine con la Slovenia. Un vero e proprio scrigno di storia, punto di partenza ideale per andare alla scoperta di un territorio che è stato prima frutteto e vigneto della nobiltà austro-ungarica, poi campagna prediletta per la villeggiatura dalla borghesia mercantile triestina, per diventare nella seconda metà del Novecento l’ultimo avamposto del blocco occidentale prima del confine invalicabile con l’Est Europa sotto la sfera d’influenza sovietica.
L’azienda vanta una produzione variegata e articolata, con tutti gli autoctoni friulani in gamma, ma è proprio Santarosa, da uve Pinot Bianco, il vino più importante, anche sul fronte dei riconoscimenti ricevuti dalla critica. Un bianco post-moderno, verticale ma non scarno, che offre toni allettanti di bergamotto, mandorla dolce, pesca noce, rosa gialla e zeste di limone. Ha una bocca all’insegna del binomio mineralità-polpa fruttata, con finale energico, rinfrescante e allo stesso tempo glicerico che invita al secondo sorso. Etichetta passpartout, da abbinare con disinvoltura a una frittura di paranza o a una ricciola di fondale con patate al forno.
Cantina 366 – Erbaluce di Caluso Scelte di Vite 2018
“Alba lux”, nome latino di stregante bellezza per il bianco di punta del comprensorio ai piedi della Serra Morenica d’Ivrea. Un vitigno di clamorosa versatilità, capace di dar vita a spumanti, passiti, bianchi fermi fatti in acciaio o passati in legno, pensati per il consumo immediato, per l’ invecchiamento o per entrambe gli scopi. Come questo della cantina 366, piccola realtà ad Agliè, uno dei ben trentacinque comuni della DOC Caluso.
Quattro anni tra acciaio e bottiglia e i profumi vegetali e fermentativi dell’Erbaluce giovane lasciano spazio a crema di limoni e miele d’acacia, erbe officinali e qualche soffio idrocarburico. Il sorso gioca sulle stesse sensazioni, con una buona ricchezza fenolica a supporto dello slancio acido-sapido, cenni affumicati e di mandorla tostata che arricchiscono la chiosa tonica e allo stesso tempo sfaccettata. Un vino formidabile come aperitivo o per il pasteggio con tartare di pesce e linguine allo scoglio.
Sergio Mottura – Latour a Civitella
Lo Chablis del Lazio: il vino di punta della migliore azienda bianchista della regione, sita in quel di Civitella d’Agliano, vero e proprio Grand Cru del Grechetto. Latour a Civitella si chiama così perché il titolare Sergio Mottura ebbe modo tempo fa di acquistare alcune barrique dall’omonima tonnellerie francese. Provò a metterci dentro questo autoctono del centro Italia, cercando di tirar fuori un potenziale che le vinificazioni più essenziali non riuscivano a mettere in risalto. Inizialmente si trattava di un bianco imponente, con buona dose di speziatura boisè a dare una personalità abbastanza internazionale, ma negli anni ha cambiato pelle; oggi fa un affinamento più breve in barrique di più passaggi e tira fuori un profilo più varietale, balsamico e salmastro nel caso della 2020, poi ingentilito da cenni mielati.
Ma è con il tempo che la stratificazione si fa più interessante: la 2016, assaggiata nella splendida cantina scavata nella roccia, in occasione dell’evento Nelle Terre del Grechetto, dà adito a sensazioni travolgenti di guscio d’ostrica e pietra focaia, che fanno il paio con una polpa cremosa – quasi creme bruleè – in pieno stile Chablis Grand Cru. Peccato che trovarne in giro vecchie bottiglie non sia per niente facile!
La Felce – Liguria di Levante Bianco Monte dei Frati 2021
Nella Liguria dei terrazzamenti e dei borghi magnifici assaltati dai turisti, la produzione di vino bianco tende ad appiattirsi sul modello del vino estivo senza pretese, freschissimo e un po’ impersonale. Un vero peccato, perché far vino su certi pendii scoscesi non è cosa facile, e poi per il potenziale che le uve locali possono esprimere nei posti giusti. Non esagero se dico che zone come i Colli di Luni e la piana d’Albenga potrebbero rientrare tra le migliori a vocazione bianchista d’Italia.
Ce lo dimostra questo Monte dei Frati de la Felce, azienda dall’approccio non intervista con sede proprio in Lunigiana, a ridosso del confine con la Toscana. Un Vermentino dal colore intarsiato di bagliori dorati, con un profumo sottile e ammiccante di agrumi essiccati ed erbe spontanee, iodio e salamoia. Pienamente salmastro al palato, agile, ma con un cenno tattile, buccioso a dare spessore, rosmarino e un filo di pepe bianco nel finale di prorompente solarità mediterranea. Semplicemente eccezionale in abbinamento al cappun magro, alle trofie al pesto e al branzino alla ligure con le olive taggiasche.
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