La Pizza all’Ananas di Gino Sorbillo ha spaccato
Ecco il testo del nostro pezzo pubblicato oggi sul Mattino
Visto da Marte non si capisce davvero tutto lo scalpore suscitato dall’annuncio di Gino Sorbillo di mettere in menu nel suo nuovo locale a via Tribunali la pizza con l’ananas. In fondo sulla pizza sinora è finito di tutto senza che nessuno gridasse scandalo: dalla Nutella ai wurstel, giusto per citare quelle più comuni che si vedono in giro.
E’ l’effetto dello sdoganamento della lavorazione tradizionale ormai avvenuto da più di dieci anni a partire anche dall’impasto, dove sono state reintrodotte tecniche di panificazione (biga, autolisi) dalle quali la pizza, per essere pizza, si era liberata due secoli fa.
Ricordate l’amatriciana di Cracco?
Eppure il popolo del web, soprattutto napoletano, ha gridato al sacrilegio, un po’ come quello bolognese si mise sul piede di guerra per i tortellini o quello romano sull’amatriciana proposta da Cracco. A queste guerre gastronomiche noi italiani siamo particolarmente vocati. Meglio queste, del resto.
Al tempo stesso non può non stupire che un gesto così semplice riesca a penetrare il sistema informativo tradizionale dei media e dei giornali nazionali e internazionali sino a salire alla ribalta impensabile per notizie molto più importanti o di pubblico dominio. Qualsiasi ricerca avrebbe infatti dimostrato che il primo a farla in Italia è stato il famoso pizzaiolo romano Stefano Callegari nel lontano 2017, che altri, da Pepe alla giovane promessa casertana Simone De Gregorio la tengono in carta. Insomma, la pizza con l’ananas non è proprio una notizia di primo pelo.
Eppure il riscontro, sarà complice il periodo festivo, è stato enorme, battendo anche gli spaghetti con le vongole al burro di Bruno Barbieri, proditoriamente eclissato dal Gino nazionale.
Questi epifenomeni, all’apparenza superficiali come un foruncolo sulla pelle, sono invece il segnale di qualcosa di molto più profondo su cui conviene soffermarsi.
La Guerra dell’Ananas fra i pizzaioli
Il primo, se volete di carattere locale, è una battaglia senza esclusione di colpi che si sta combattendo sui social da alcuni protagonisti del mondo pizza. Un po’, per fare un paragone, le vecchie guerre per lo spazio ai manifesti elettorali. Il motivo è duplice: la stragrande maggioranza dei pizzaioli, e il loro pubblico, rientrano nei millennials e nella generazione zeta; si informano e fanno le loro scelte basandosi unicamente sulla informazione digitale. Ecco perché alcuni protagonisti del mondo pizza oltre alla pala devono saper usare il telefonino ed escogitare di continuo qualcosa per far parlare di se stessi. Da questo punto di vista Gino Sorbillo è imbattibile anche se soffre la concorrenza di Errico Porzio, altro beniamino del web. Proprio Gino ha reso popolare la pizza fuori Napoli con l’uso sapiente, continuo e scientifico dei social costruendo un personaggio che va oltre la schiera dei gastrofighetti per coinvolgere il grandissimo pubblico. Nell’immaginario collettivo italiano i due pizzaioli per antonomasia sono lui e Gabriele Bonci, non a caso quelli più adottati dalla televisione, come si è del resto dimostrato proprio con la vicenda della pizza all’ananas.
Quindi, bisogna stare bene attenti, nel giudizio, a mischiare forma con sostanza, immagine con contenuto.
Sul piano comunicativo, allora, chapeau.
E su quello gastronomico? Qui il discorso è aperto e si presta a più opinioni, tutte legittime. C’è quella tradizionale, per cui la pizza non è un lievitato qualsiasi, ma quella riconosciuta dalla Stg marchio europeo di stile napoletano, per cui tutto il resto è altro. C’è il parere degli innovatori, negli impasti come nei prodotti da usare, che ormai hanno sdoganato di tutto e di più, a volte con veri e propri capolavori divenuti a loro volta classici (il futuro di Marinara di Martucci che ha dato la stura alle tre cotture) o, a contraltare, vere e proprie ciofeche caricaturali che scadono nel food porn a suon di creme di pistacchio e altre simili. Resta il fatto che la libertà di sperimentare è uno dei fondamenti della storia della gastronomia, ogni tradizione è stata sperimentazione, e mettere la frutta sfruttandone l’acidità in preparazioni insolite non è affatto la novità dell’anno.
Senza parlare di ciliegie e foie gras, basti pensare al popolarissimo prosciutto e fichi o melone degli anni ’70. L’ananas è un grande frutto ed è usato ormai sulla pizza in molte nazioni, Italia compresa.
Resta l’ultima domanda. Ovvero la domanda delle domande. Ma allora perché tanto scalpore? Perché nell’epoca dei social la memoria è quella di una farfalla, dura un giorno, al massimo due e sotto questa volatilità di informazioni superficiali resta una crosta dura di riferimenti arcaici ai quali ci si aggrappa per pura sicurezza psicologica.
In queste reazioni esagerate, insulti, minacce, revoca dei like etc, l’Italia si rivela essere un paese sostanzialmente conservatore e poco aperto alle novità. In campo gastronomico ci sono ormai due partiti, i gastrofighetti della zona Ztl, per usare una efficace metafora politica, e i tradizionalisti. Due partiti che si disprezzano profondamente e che non hanno alcuna voglia di trovare una sintesi. Un po’ come il partito dei vini naturali e quello dei vini convezionali.
Ecco allora come la gastronomia può diventare lo specchio di un Paese. E chi capisce il meccanismo fa da sponda ed emerge con la velocità del fulmine.
Ma il vero rischio qual è? Quello di scomparire con altrettanta velocità.
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