di Paolo Vizzari
In un clima spensierato e quasi informale, è scivolato via senza intoppi l’evento al Four Seasons di Milano voluto da Cuzziol Grandivini. La serata ha visto collaborare ai fornelli cinque pesi massimi della ristorazione milanese: il neo-padrone di cucina dell’hotel di via Gesù, Vito Mollica (all’esordio come executive-chef per l’albergo meneghino, in prestito dal Four Seasons di Firenze); Wu Jing, in cima alla lista dei molti ristoranti cinesi cittadini con il suo Dim Sum; Wicky Priyan, criminologo cingalese votato alla cucina, da poco officiante nella nuova sede di Corso Italia; Beniamino Nespor, che col suo Al Mercato sta muovendo una piccola rivoluzione attorno allo streetfood, ma sempre più va confermandosi anche come cuoco “vero”; infine Pietro Leemann, alfiere della cucina vegetariana, noto e discusso per le sue posizioni spesso estreme, così come per i guizzi geniali che stanno alla base di molte sue creazioni.
Prima di cena, però, un salone del Four Seasons si anima con tavoli e bicchieri per dare modo agli invitati di provare etichette e prodotti disponibili nel catalogo Cuzziol. A riempire i calici, messieurs d’eccezione come Bruno Paillard, Mathieu Deiss o Henri Boillot, oltre alla batteria completa di produttori italiani distribuiti dalla casa trevigiana, e qualche straniero non per forza francese. Tra questi ultimi, spicca la curiosa storia di “Zorah”, azienda armena madre del “Karasi”, areni noir le cui viti secolari scamparono alla fillossera grazie alla protezione dell’elevata altitudine (siamo intorno ai 1400 metri sul mare). Invecchiato in anfora e sottoposto a escursioni termiche di circa venti gradi fra giorno e notte, il profilo del Karasi ricorda più quello di un reduce Viet Cong che quello di un vino rosso, eppure basta un assaggio per imparare ad apprezzarlo.
Dopo sorsi di Champagne, baroli, distillati, succhi di frutta e per i più viziosi perfino acqua e limone, la serata prosegue seduti ai tavoli, dove la palla passa ai cuochi.
Calcio d’inizio per Vito Mollica, che si disimpegna con classe proponendo un pomodoro farcito di baccalà su salsa verde.
Segue un cestino di dim sum preparati da Wu Jing (non è un gioco di parole) – calamaro e sedano, frutti di mare, cristallo di gambero piccante, manzo e pepe nero – per poi passare al piatto di Wicky, un filetto di pesce bianco con verdure, crema di lemongrass e zenzero, curcuma e “salsa 5 continenti”: in pratica un rapido giro del mondo in otto bocconi.
Dopo è il turno di Nespor, che interpreta il piccione a modo suo servendone il petto rosa e la coscia farcita di tartufo nero. A completare: spugna alle trombette della morte, pesto cetarese e un marshmellow realizzato col cuore del volatile. Bella l’idea e buona l’esecuzione, peccato solo per quella zampetta artigliata che poteva essere recisa senza patemi, e invece è rimasta lì ad additare veemente come uno slogan vegano.
Chiude i giochi un dessert di Leemann il cui nome sarebbe perfetto come titolo al sequel del libro “Cuore”. “Amici si nasce o si diventa?”, si chiede l’italosvizzero, e la risposta è misteriosamente celata in una crema catalana di ricotta con semi di anice verde e gelato di arancia.
Rien ne va plus, la serata sfuma sugli ultimi brindisi e i ringraziamenti vari, mentre uno stormo di piccioni rancorosi spia Nespor dalle finestre con aria poco raccomandabile.
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