di Raffaele Mosca
C’è l’ingegnere marchigiano emigrato a sud per amore, l’avvocato emiliano convertito all’ortodossia non-interventista, l’artista che ha risuscitato un’antica tradizione familiare, l’erede di una grande dinastia di viticoltori che ha rivoluzionato una tenuta storica e la produttrice che ha saputo seguire le tendenze di mercato, sfondando all’estero.
E poi ci sono loro: i Valentini, una famiglia con un cognome che da solo basta a far tremare gli enofili. Tanto leggendari quanto sobri, gentili e riservati quando li incontri di persona: anziché di banalità del male, si potrebbe parlare di “banalità del mito”. Protagonisti di una straordinaria epopea di imprenditoria agricola pionieristica, partita dai primi imbottigliamenti a fine 800’, hanno gettato il seme non solo per la nascita delle grandi denominazioni della regione dei parchi, ma anche per lo sviluppo del suo cluster produttivo più importante: un manipolo di aziende concentrate in un territorio comunale di circa sessanta chilometri quadrati, alle spalle della riviera pescarese e alle falde del Gran Sasso, che, in maniera differente tra loro e a tratti complementare, sono riuscite a conquistare pubblico e critica, diventando ambasciatrici di un Abruzzo vitivinicolo agli antipodi rispetto a quello dei grandi volumi e dei vini dozzinali imbottigliati fuori regione. Sono i loro custodi del comprensorio di Loreto Aprutino, oggi riuniti in una associazione, che, in sinergia con il Gal Terre Pescaresi, ha anche realizzato una zonazione del territorio, preludio alla creazione di un biodistretto agricolo di e una De.Co (denominazione comunale).
Ma l’impulso per fare qualcosa insieme viene da un evento che ha poco a che fare con il vino: “ le sei aziende membre di Custodes Laureti sono molto conosciute e non avevano grande necessità di fare promozione – spiega Chiara Ciavolich, rappresentante di Custodes Laureti – l’associazione è nata per promuovere la restanza, ovvero l’attaccamento al territorio, e per fronte a un’ emergenza che minacciava tutti noi”. L’amministrazione comunale di allora aveva pensato bene di sostenere la costruzione di una centrale per la produzione di biogas sulla valle del fiume Tavo, a pochi metri dal vigneto da cui, nel 1968, la famiglia Valentini ha prodotto la prima bottiglia di Montepulciano d’ Abruzzo DOC e in un’area che, oltre a vigneti e ulivi centenari, ospita anche altre colture di pregio come i fagioli tondini del Tavo (presidio Slow Food).“ Era il 2019 – spiega Ciavolich – mi chiamó allarmato Francesco Paolo Valentini: dovevamo unire gli sforzi per contrastare un progetto non compatibile con il nostro ecosistema, che lo avrebbe deturpato ed avrebbe esposto la terra a rischi molto seri”. Pochi mesi dopo, grazie agli sforzi dell’associazione, che, organizzando conferenze e manifestazioni, ha cercato di portare l’attenzione dei media sul caso, è arrivato il no definitivo allo scempio. Successivamente il gruppo si è fatto promotore una lista civica senza colore politico che è riuscita a far eleggere il proprio candidato sindaco; poi, una volta completata la missione originale, l’impegno comune si è rinnovato anche sul fronte vino, con la realizzazione de “Le Contrade del Vino di Loreto Aprutino”, testo redatto da Gabriele Valentini: non il rappresentante più giovane della gens vitivinicola, ma l’omonimo ricercatore universitario, loretese di origine e bolognese d’adozione.
Il libro è la sintesi di uno studio che, attraverso l’analisi di diverse vendemmie e l’intreccio di dati climatici, pedologici e geologici, ha permesso di tracciare un identikit del terroir di Loreto Aprutino e di suddividere il comune in otto contrade: Cocciapazza, Camposacro, Contrada Palazzo, Salmacina Bassa, Cecalupo, Cancelli, Cordano, Colle Cavaliere e Scannella. Quel che l’approfondimento conferma, al di là delle differenze più o meno marcate riscontrate tra una contrada e l’altra, è che la vocazione vitivinicola di Loreto Aprutino deriva dalla posizione intermedia tra mare e montagna e dall’effetto termoregolante del fiume Tavo, alla destra del quale è collocata la maggior parte dei vigneti più importanti. Anche i suoli rappresentano una sorta di via di mezzo tra quelli dell’ Abruzzo nord e gli altri della fascia costiera che discende verso il Molise: ricchi di argilla, ma anche di sabbie e fossili marini, con elementi marnosi e calcarei più in profondità. Facile immaginare che tutto questo comporti un certo equilibrio nell’ambiente in cui le viti crescono. Ed equilibrio è spesso la parola adatta per descrivere i vini loretesi.
Ma ancor più del suolo o del clima, a fare la differenza sembra essere il fattore umano. Sicuramente la storia di successo di Valentini ha infuso in questi produttori il coraggio necessario per osare: ognuno di loro ha sviluppato una cifra stilistica ben definita, che gli permette di distinguersi dagli altri e avere seguito in una specifica nicchia di mercato. Due aziende, Amorotti e De Fermo, hanno tratto ispirazione dal cosiddetto metodo loretese, lo stesso seguito da Valentini, che consiste in una lenta fermentazione con lieviti indigeni di uve biologiche – se non biodinamiche – in grandi botti esauste, seguita da un affinamento prolungato sulle fecce nelle stesse botti. Su Trebbiano e Cerasuolo l’impronta di questo protocollo è particolarmente evidente: il primo – rinomatamente neutro e alle volte inespressivo – guadagna molto in sfaccettatura aromatica, mantenendo freschezza e piglio sapido a fronte di una struttura più piena e cremosa; il secondo perde un po’ della sua ricchezza cromatica e di carica fruttata in favore di una dinamica meno immediata e allo stesso più complessa.
Gli altri tre produttori hanno scelto strade differenti: Chiara Ciavolich, che ha trasformato un’azienda nota principalmente per i grandi volumi in qualcosa di molto diverso, ha optato per anfora e cemento per la sua linea di punta da vigne vecchie, Fosso Cancelli; il background ingegneristico di Fausto Albanesi dei Torre dei Beati si traduce, invece, in una ricerca spasmodica di pulizia e precisione, con vinificazioni più riduttive e controllate ed elevage tra acciaio e barrique. Simile l’impronta di Antonella di Tonno di Talamonti, che spinge ancora di più sulla ricerca del nitore e della piacevolezza universale, strizzando un po’ l’occhio al cosiddetto gusto internazionale.
La domanda che sorge spontanea è: al netto delle differenze stilistiche e relative alle contrade ,esiste davvero un elemento comune che caratterizza i vini di Loreto Aprutino e li rende riconoscibili? La risposta è si è no: la degustazione di molte referenze in vari momenti conviviali a La Bilancia e La Bandiera, due istituzioni gastronomiche del territorio, ha mostrato che il fil rouge è abbastanza evidente tra i bianchi, sempre puntuali nella combinazione di solarità e tensione. Su rossi e rosati, invece, le divergenze sono abbastanza marcate. Ma la forza di questi vini risiede nell’incisività e nell’originalità diffusa, che certificano la vocazione del terroir vitivinicolo anche in assenza di uniformità interpretativa. Insomma, pescando una bottiglia a caso da questo comprensorio, si può rischiare di trovare qualcosa che non incontra il proprio gusto, ma non di rimanere indifferenti!
I volti di Loreto Aprutino:
Amorotti
L’azienda più giovane del comune è quella di Gaetano Carboni, artista e già titolare dell’azienda agricola Pollinaria, che ha recuperato la cantina dei Baroni Amorotti, suoi antenati, che è nascosta nei sotterranei di un palazzo nel centro storico del paese. Il suo approccio non interventista ha molto in comune con quello di Valentini – a partire dall’uso del legno per tutta la vinificazione – ed è anche per questo che, in meno di dieci anni di attività, è riuscito ad affermarsi come produttore di riferimento nel panorama regionale.
Ciavolich
Insediatasi nel 700’ a Miglianico, la famiglia Ciavolich vanta una lunghissima tradizione vitivinicola. L’annessione alle proprietà di famiglia del podere di Loreto Aprutino, ereditato da Donna Ernestina Vicini, è ben più recente, ma Chiara Ciavolich, che gestisce l’azienda, ha puntato molto su di questa tenuta, ricavando dalle vecchie pergole che lo circondano i vini della linea haut-de-gamme Fosso Cancelli, frutto di vinificazioni sperimentali tra terracotta, cemento e legno. L’azienda ospita anche un agriturismo con vista sui vigneti e sul Gran Sasso.
De Fermo
Emiliano di nascita, Stefano Papetti Ceroni ha abbandonato la toga per cimentarsi insieme alla moglie, Eloisa De Fermo, nella produzione di vino naturale. Il progetto ha come obiettivo la biodiversità a tutto tondo e prevede l’integrazione di uliveti e vini con altre colture ed allevamenti. I vini, solitamente molto convincenti, sono apparsi un po’ troppo scapigliati ed imprecisi in quest’occasione: come se volessero rincorrere forzosamente quella nicchia di mercato che esalta le imperfezioni come fossero pregi.
Talamonti
Antonella di Tonno e Rodrigo Redmont sono imprenditori seri, lungimiranti e con una visione molto chiara: forti anche di un background internazionale (lui è americano di origine), gestiscono la piú “cosmopolita” tra le aziende loretesi. I vini sono precisi, tecnici quanto basta, un po’ meno guizzanti degli altri, ma sempre affidabili.
Torre dei Beati
Le etichette colorate e i nomi da fiaba dei fratelli Grimm possono ingannare e rendere un’idea di frivolezza. E, invece, l’enorme successo commerciale di Fausto Albanesi, ingegnere prestato al vino, e sua moglie Cristiana Galasso, è riflesso di una visione produttiva precisa e rigorosa. I loro vini sono solidi, affidabili, impeccabili per pulizia e precisione, ma mai eccessivamente tecnici. Oltre che a Loreto Aprutino, la coppia ha piantato anche vitigni in altura a Corvara, nel parco nazionale della Majella.
Valentini
Nulla da dichiarare, se non il genio e l’assoluta visionarietà di una delle dinastie agricole più importanti d’Italia. Conservano resoconti dettagliati su ogni vendemmia dagli anni 80’ dell’ 800; sono stati tra i primi – se non i primi in assoluto – a produrre Montepulciano e Trebbiano DOC nel 1968. Si ostinano ad imbottigliare una piccola frazione della propria produzione, destinando tutto ciò che non reputano qualitativamente superlativo al mercato dello sfuso. Sempre avvolti in un alone di mistero, alimentato anche dalla scarsa propensione a concedere visite in cantina, sono tra i pochi produttori che mettono d’accordo collezionisti, estimatori dei fine wines ed amanti del bioqualcosa.
I vini
Valentini – Trebbiano d’ Abruzzo 2020
Il mitico bianco di Valentini proviene dalle vigne nella contrada Colle Cavalieri, che guarda a nord, sfiora i 450 metri ed è contraddistinta dalla presenza di fossili marini che affiorano in superficie. L’annata in questione è la più ricca e immediatamente espressiva degli ultimi anni: zafferano, marzapane, mela cotogna, nocciola tostata e soffi di pietra focaia profilano un naso già ampio e variegato. Anche se analiticamente molto elevata, l’acidità e più garbata che in altre annate; la ricchezza proteica del vino contribuisce al senso di morbidezza, scolpendo un sorso privo della grande verve dei migliori millesimi, ma di bell’ equilibrio e lunga persistenza tra rimandi salini e sottilmente autunnali. Perfetto da subito con piatti a base di funghi e tartufo.
Valentini – Trebbiano d’ Abruzzo 2019
Paradossalmente più giovanile del ‘20 e molto vicino ad un grande bianco di Borgogna per combinazione di dolcezze – agrumi canditi, propoli, fiori gialli, ricordi di cioccolato bianco e zuppa inglese – e sfumature di iodio e pietra focaia in crescendo. Magnifico per tensione e contestuale pienezza: un proverbiale pugno di ferro in guanto di velluto, con impeto acido-sapido trascinante a sostenere l’allungo cremoso, interminabile e di purezza cristallina.
Amorotti – Trebbiano d’ Abruzzo 2022
Dalla contrada Scannella: più vicina al fiume di Colle Cavalieri e con un suolo più argilloso. Iodio, erbe balsamiche e agrumi canditi svettano su di uno sfondo più ricco di frutta secca, cannella e miele d’acacia. Con il Trebbiano di Valentini condivide il mix accattivante di pienezza fruttata, impronta delicata del legno a dare spessore, contrasto allettante tra cremosità del centro bocca e acidità guizzante. E’ giusto un pelino meno profondo, ma rappresenta una bella alternativa per gli amanti del genere.
Amorotti – Cerasuolo d’ Abruzzo 2022
Più chiaro della media il colore: un rosa cerasa delicato, preludio ad aromi complessi di fragoline in gelatina, bacca di goji, cannella e rosa in appassimento, refoli balsamici. Sorso in perfetto equilibrio tra salinità stimolante, astringenza rafforzata dal rovere che pulisce, ritorni di ribes e arancia sanguinella che ravvivano la chiosa energica. A tavola è un jolly.
Talamonti – Abruzzo Pecorino Trabocchetto 2023
Semplice e varietale, sa di erbe aromatiche, salvia, mandorla bianca e scorzetta di limone, con un fondo leggermente più tropicale. Diretto, lineare e senza orpelli, convince per equilibrio tra acidità rinfrescante e struttura discreta. Finale semplice e pulito.
Talamonti – Montepulciano d’ Abruzzo Tre Saggi 2020
Materico ed impenetrabile, soffi mentolati e di tostatura incorniciano visciola e prugna. Pieno e avvolgente, con frutto carnoso al centro, sostenuto da acidità adeguata e tannini soffici che accompagnano la progressione fino alla chiusura precisa, balsamica e tostata.
De Fermo – Montepulciano d’ Abruzzo Prologo 2020
Decisamente naturale, con una volatile un po’ in esubero che veicola sottobosco, erbe amare, cuoio e qualche lampo fruttato. Più definito in bocca: tannini leggermente spigolosi incalzano il frutto, dando energia a una progressione ruspante e schietta, coerente nei ritorni finali di sottobosco e oliva al forno.
De Fermo – Montepulciano d’ Abruzzo Prologo 2018
Molto selvatico e piuttosto ostico sulle prime, si apre progressivamente e lascia emergere qualche barlume fruttato frammisto ad erbe officinali e cioccolato. Le imperfezioni aromatiche ritornano in bocca e sciupano l’equilibrio di un sorso che lascia comunque intuire una bella materia di partenza. Piacerà agli amanti dello stile “nature” più radicale.
Ciavolich – Cerasuolo d’ Abruzzo Fosso Cancelli 2021
Il passaggio in anfora plasma un Cerasuolo insolito: intatto nel colore più rosso che rosa, ma con un profumo singolare di paprika, pomodoro infornato, erbe officinali, un che di ferroso e terragno. Croccante, saporito, sorprendentemente integro, con frutto ampio e invitante, pizzichi salini e di erbe aromatiche a siglare la chiusura lunga e briosa.
Ciavolich – Montepulciano d’ Abruzzo Fosso Cancelli 2019
Ciliegia sotto spirito, rabarbaro, accenti di pellame e terra bagnata a delineare un profilo un po’ “wild”, ma piuttosto intrigante. Pieno si, ma con i giusti spigoli che danno tridimensionalità e garantiscono fluidità di beva; tannini leggermente asciutti e un che di ematico siglano la chiusura assertiva. Meraviglioso con la manzetta abruzzese alla brace de La Bilancia.
Torre dei Beati – Cerasuolo d’ Abruzzo Rosa-ae 2023
Rubino trasparente nella veste, che suggerisce già una personalità da piccolo rosso. L’affinamento in acciaio garantisce l’integrità dei profumi tipici di fragola candonga e ciliegia, peonia, oliva in salamoia ed erbette. Ricco e agile allo stesso tempo, un pizzico di carbonica rafforza la facilità di beva, solleticando la progressione tutta giocata sul frutto rosso dolce e goloso, che chiama l’abbinamento con pane e salame.
Torre dei Beati – Montepulciano d’ Abruzzo Mazzamurello 2020
Un Montepulciano di stampo neoclassico: pieno, imponente, ma dotato di equilibrio fuori dal comune. Esplosivo nei profumi di confettura di visciola, cannella, cioccolato, fiori appassiti e mentolo. Il frutto è ricco, avvolgente, ma ben bilanciato da salinità arrembante e tannini vellutati. Ritorni balsamici e cioccolatosi s’intrecciano sul fondo, dando soavità al finale lungo e goloso.
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