di Monica Caradonna
Cultura alimentare declinata attraverso un cartello gastro-terrone. A Matera per due giorni si è celebrato il Festival della Cultura alimentare. E se tradizione e modernità sono state il filo conduttore della discussione, esperienza e innovazione si sono declinate nelle testimonianze che si sono raccontate al banco – senza fuochi e fiamme – di Cultural, l’idea di Mauro Bochicchio, presidente di Consortium Paris, che per la prima volta sbarca in Italia e non per caso a Matera.
C’erano Nino Rossi, Luca Abruzzino, Caterina Ceraudo, Antonio Biafora, Gennaro di Pace, i nativi digitali di Cooking soon con la Calabria nel cuore e nella mente; c’erano i giganti delle certezze partenopee, Peppe Guida, Peppe Aversa, Paolo Barrale, Cristian Torsiello e Cristoforo Trapani; c’era il sud rivisitato di Eugenio Boer; c’erano gli autoctoni artigiani della materia Pietro Zito, Peppe Zullo, Francesco Nacci; il filosofo della materia Felice Sgarra col suo bisogno di «trovare il meglio con l’essenziale»; c’erano la tecnica e la classe di Angelo Sabatelli. Insomma c’era un Sud autentico e visionario, umile e creativo che per due giorni ha reso Matera, con la sua archeologia verticale, il luogo identitario per eccellenza di una voglia di ritornare alle radici ma con la testa e non incastrandosi in arroccamenti miopi.
Nel ventre di Casa Cava, la location suggestiva che ha ospitato Cultivar, per dirla alla Nino Rossi si è celebrato il “matrimonio morganatico” delle generazioni a confronto legate dal bisogno di sancire un patto forte con i produttori che nella visione degli chef – giovani e meno giovani – deve ritrovare un linguaggio comune, magari benedetto da una legislazione che tenga conto dell’artigianalità e che, come ha detto Peppe Aversa, «non ci faccia vivere al limite della legalità se vogliamo garantire la qualità del prodotto». Un tema forte che sancisce il grado di separazione tra la distribuzione omologata e il bisogno di identità attraverso i prodotti.
E se si è avvertita la necessità di un’anima sempre più antropologica del cuoco, è stato Vincenzo Donatiello, l’elegante uomo di sala del ristorante Piazza Duomo ad Alba (tre stelle Michelin), a suonare la sveglia per la sala e lo fa in un momento storico molto delicato in cui la vocazione a diventare cameriere è ancor più in ribasso di quella religiosa.
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