Cucina tradizionale o cucina innovativa? Il grande tema irrisolto è sempre lo stesso in Italia con le due soluzioni più comode sempre intraprese dai più: o la tradizione dura e pura che ha nel suo aggiornamento magari la ricerca di materie prime di qualità e una presentazione meno greve.
Oppure ignorare la tradizione e avviare sperimentazioni senza limiti spesso trasformando spesso il piatto in un’orgia di prodotti ricchi ma senza senso.
Mai come in quest’epoca i giovani cuochi hanno avuto tanti strumenti per vedere cosa succede attorno a loro, eppure è incredibie anche come i social e gli stage spesso portino all’omologazione delle banalità invece di stimolare la creatività.
Perché molti invece di usare i prodotti si fanno usare dai produttori in cambio di promesse di partecipazione a congressi o a sceneggiati televisivi. Un po’ quello che sta succedendo con i pizzaioli per le farine dove la distinzione non è più quello che si fa ma quello che si usa.
Okkey, fatta questa lamentazione da vecchio bacucco un po’ stanco incapace di eccitarsi perché costretto a vedere sempre lo stesso film porno dalla Val d’Aosta alla Sicilia (quest’anno salvatemi, vi prego dal maiale con i gamberi che è quasi peggio dei gamberi pancettati degli anni ’90), vi spiego qual è il modo migliore per risolvere il problema.
Cucina tradizionale o cucina innovativa?
Seguire ad esempio questi tre piatti di Francesco Sposito di Taverna Estia che ha affrontato con la spalvalderia dei soui trent’anni, ma anche con la padronanza tecnica acquisita in lunghi stage passati a sfogliare insalate e pelare patate. Si tratta di tre grandi classici della tradizione napoletana: le alici in tortiera, la minestra maritata e la frittura di pesce.
Nel primo caso la tecnica di preparazione delle salse e della lavorazione del pesce regala in primo luogo una superiorità estetica al piatto senza paragoni. Ma quello che conta è ciò che avviene al naso e al palato dove l’essenza della ricetta, ossia la freschezza dell’alice e il leggero allungo fumé vengono esaltati e soprattutto si ritrova in ogni grammo mentre in quello tradizionale va cercato perché non omogeneo.
Un risultato esaltante, direi addirittura geniale visto che l’alta ristorazione ha dimenticato questa preparazione delle nostre mamme perchè ritenuto troppo scontato o, peggio, ignorato.
Sulla minestra maritata ha ragionato a lungo e con valore anche Gennaro Esposito
Gennaro partendo dalla sua base tecnica solidissima, sopratttutto nella preparazione dei brodi oltre che delle salse, ha ingentilito la presentazione ripulendola e, anche in questo caso, omogeneizzando il sapore in ogni cucchiaiata.
Cucina tradizionale o cucina innovativa?
Ma torniamo alla minestra maritata proposta da Francesco Sposito. Ecco un esempio di come la cucina non sta mai ferma, infatti rispetto alla versione di Gennaro Esposito questa spinge sui toni amari e vegetali senza alcuna preoccupazione, proprio quei toni che la tradizione cerca invece di smorzare con il grasso che galleggia o con l’aggiunta di formaggio fresco grattuggiato. In questo modo un piatto rivisitato esprime molto meglio di quello tradizionale l’essenza del territorio e fa la differenza. E qual è la differenza? I toni minerali e amari tipici delle verdure e degli ortaggi coltivati su suolo vulcanico sono esaltati alla grande.
Quindi non si corregge la naturalità del vegetale ma la si esalta. Però questo è possibile grazie alla padronanza della tecnica.
Discorso simile sulla frittura. Cosa sentiamo in quella tradizionale a parte la rottura di palle delle spine?
Un sapore non omogeneo e soprattutto la perdita dell’elemento marino perché si sa che questa tecnica di cottura tende ad omologare un po’ tutto.
Il problema viene risolto con un colpo di genio che non è riferito alla presentazione e alla tecnica di frittura stessa. Ma alla scomposizione del pesce, in questo caso una triglia che diventa un sandwich nel quale è inserita l’emulsione di gamberi.
Risultato al piacere del fritto si aggiunge quello del mare concentrato e lunghissimo che sgrassa.
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CONCLUSIONI
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Cucina tradizionale o cucina innovativa? In Italia si mangia molto meglio oggi di dieci o i vent’anni fa con punte di livello altissimo. Ma, contrariamente a quello che si crede, si tratta di un paese molto arretrato sul piano gastronomico perché non riesce ad esprimere una tradizione al passo con i tempi moderni dela cucina mondiale.
Le radici rurali e quelle regionali, o quelle cittadine di Napoli ormai appartengono alla memoria e sono messe in discussione da tre fenomeni irreversibili: il cambio dello stile di vita, la mescolanza di popoli e usanze in un mondo sempre più piccolo e i danni della televisione dove si propongono ricette finte e senza radici.
Per evitare che un piatto di minestra maritata finisca nella nostalgia della memoria e per trasformarlo in un colpo vincente bisogna ragionare in modo nuovo, ripensare la tradizione.
Il grande cuoco si riconosce non da come assembla e inguacchia le materie prime di prodotti acquistati su internet dal grande distributore, per quanto alto sia il costo, ma dalla capacità di regalare sensazioni uniche, esplorare la materia, prendere il bello del mondo che cambia e agganciarlo alle proprie radici che lo rendono unico.
Due esempi ancora di quello che voglio dire:
Cucina tradizionale o cucina innovativa? La nostra risposta è: cucina essenziale
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