Cucina Rambaldi a Villar Dora
Via Sant’Ambrogio, 55
Tel.011 016 1808
Aperto a pranzo e cena dal giovedì al sabato. Mercole solo cena e domenica solo pranzo
Chiuso domenica sera, lunedì, martedì e mercoledì a pranzo
di Giulia Gavagnin
Esattamente un anno fa avevo scritto su queste pagine che Cucina Rambaldi è il vero ristorante moderno. Oggi la penso in modo quasi opposto. E’ segno che non è vero che tutto è immutabile, che le cose sono sempre quelle, che possiamo coltivare serenamente incrollabili certezze sentendoci sempre a posto con la coscienza (in verità non l’ho mai pensata così: ha la mia stima solo chi sa cambiare opinione e rivedere le posizioni).
In verità oggi penso che Giuseppe “Rambo” Rambaldi, sia un cuoco antico, ma di un “antico pop”, che sa affondare le radici nel passato e tradurle in piatti del tutto attuali, dinamici, proiettati nel presente (il futuro lo predicono gli indovini e non ne conosco uno che l’abbia azzeccato), piatti che di fanè non hanno nulla e nemmeno di retrò (di retrò a Cucina Rambaldi ci sono solo le stoviglie, un vezzo caloroso). Piatti in movimento, che partono da lontano.
Giuseppe Rambaldi non ha nulla del cuoco moderno. Ha un piccolo ristorante di proprietà con la coniuge-maitre (Milena Pozzi) in una località poco o per nulla attraente, dove se non ci vivi ci devi capitare apposta: Villar Dora, all’imbocco della Val Susa, terra priva di resort, attrazioni particolari; terra pure scontrosetta come i suoi abitanti. Non è, come i suoi coetanei “moderni” al soldo di fondi, investitori, proprietari di catene alberghiere, di fatto dipendenti di lusso. Probabilmente avrebbe potuto: è stato per vent’anni al fianco di Davide Scabin al Combal.Zero; non ha fatto come altri, illustri riempitori di curricola due mesi di stage a Copenaghen, quattro a Parigi, sette a Londra, due mesi di laboratorio di fermentazioni e un mese di corso di uso delle pinzette.
Per dire, che Rambaldi di cucina ne sa davvero, può (potrebbe) fare tutto ciò che vuole, non è certo il cuoco descritto da Fulvio Pierangelini nel famoso discorso al Mad (guardaunpo’) di Copenhaghen. Del resto chi qualche ristorante in vita sua l’ha frequentato sa che Davide Scabin è stato a lungo lo chef più bravo di tutti. “Non il migliore, il più bravo” (questa citazione non è mia, ma la condivido). Con una dose forse eccessiva di modestia, Rambaldi ha preferito essere autonomo e fare ciò che gli piaceva.
Come molti non è stato fortunatissimo, ha attraversato due anni di Covid dove ha puntato sulla cucina ancestrale, la salama da sugo e i cappelletti delle sue radici ferraresi, il vitello tonnato e il menu da Piola della sua vita nell’area torinese, e qualche incursione creativa non troppo spinta. Perché –giustamente- il ristorante va riempito e non solo celebrato a tavoli vuoti con le proprie asserite creazioni geniali (altra caratteristica deteriore di un certo tipo di cuoco moderno).
Infine, Rambaldi non è moderno perché ha una gentilezza innata, una modestia d’altri tempi, una sensibilità profonda che gli consentono di creare piatti immediati che poggiano su sfumature numerose e precise, supportate da una tecnica sicura che a mio parere oggi in Italia, diversamente da molti suoi colleghi “fenomeni” che vivono nel regno della fuffa (ennesimo aspetto della modernità deteriore).
Lo scorso anno ho avuto la sensazione che Rambaldi avesse iniziato a correre veloce; quest’anno che abbia innestato la marcia più alta.
E azzardo anche un’altra sensazione: lo chef ferrarese si è definitivamente affrancato dall’immagine del suo maestro, oggi un po’ immusonito nel centro di Torino, lontano dal suo regno castellano.
Il menu degustazione corrente di Cucina Rambaldi (85 Euro, otto portate: ne varrebbe il doppio ma non diciamolo troppo in giro) è pop, futurista, classicista, contemporaneo, spiazzante, leggero. E’ difficile trovare una definizione univoca, perché c’è tanta storia, tanta capacità. In una parola: è tanta, tantissima roba.
Già l’incipit spiazza: cavolo cotto nell’acqua di mozzarella con latte di cocco, cotto sotto sale, accompagnato da un burro erborinato inoculato dalle spore di Roquefort. Sfido chiunque ad aver assaggiato prima una cosa del genere.
A seguire un carciofo bollito con salsa al vino bianco e ostrica mi-cuit, che rivela le grandissime capacità dello chef di saucier, che sa annullare del tutto la viscosità dell’ostrica mantenendone solo il meglio (prova che uno è un grande cuoco).
Ancora contrasti amministrati con sapiente capacità: animella e vongole
.Un punto focale del menu è il risotto “Alla Rossini” con doppio foie gras, tartufo nero e Madeira. Un incrocio perfetto tra Piemonte e Francia, uno di quei piatti dei quali chiedi il bis e rischia di diventare uno dei tuoi must annuali. Vale il viaggio anche dalla Calabria!
Più prevedibile radicchio, liquirizia e guanciale, sebbene accompagnato da un ottimo Banyuls.
Un sorbetto all’assenzio traghetta verso le eccellenti Quaglie alla provenzale, servite su un cestino orientale, cariche di profumi di erbe e aromi.
Colpisce la capacità di innestare il classicismo in sentieri discosti, inconsueti, poco esplorati e trovare alla fine sempre una matrice familiare, come la stessa Cucina Rambaldi che accoglie qualunque ospite come una persona di casa.
Da pochi mesi, solo su ordinazione, Rambaldi propone “B-Sides” un menu degustazione completamente al di fuori del percorso indicato.
Le “B-sides” nella discografia moderna erano il lato B dei singoli a 45 giri che talvolta venivano raccolti in una compilation unica dopo qualche anno. Pezzi ri-arrangiati, scartati inizialmente che poi trovavano spazio nel lato posteriore del disco, versioni differenti dall’originale.
Dubito che sia un menu di scarti, mi corre l’obbligo piuttosto ricordare che trent’anni fa il Combal di Almese divenne famoso proprio per questo menu carbonaro.
Viste le premesse, direi che non c’è tempo di aspettare.
E’ necessario sperimentare al più presto le “outtakes” di Cucina Rambaldi, uno dei luoghi più interessanti del momento.
Scheda del 25 marzo 2023
di Giulia Gavagnin
A volte gli inizi si capiscono dalla fine. Una saletta riservata per fumatori della domenica come me, che di tanto in tanto dò qualche tiro di sigaro cubano con ron conseguente, alle sigarette rinuncio volentieri come al vino cattivo. “I tempi della Spagna, di San Sebastian, di quel fermento, di quella forza sono finiti. Non potevo seguire ancora quel percorso”.
Sono i discorsi sui massimi sistemi dell’una di notte, dopo una cena che si rivela scintillante nei giorni a venire (i grandi posti sono quelli di cui ci si ricorda tutti i piatti, nel bene e nel male, non quelli di frizzi e lazzi temporanei e poi oblio totale), che contribuisce a rendere nudo l’Imperatore, quello delle supermaxistelle che stanno cadendo per insostenibilità dei costi, e non serve menzionarle perché chi legge queste pagine ben le conosce.
Giuseppe Rambaldi detto Rambo ha ben donde di pronunciare queste parole, nessuno può mettere in dubbio che lui quell’epoca di fermento e fuochi d’artificio l’abbia vissuta a duecento all’ora al Combal.Zero, il laboratorio più futurista della nostra cucina dove il Filippo Tommaso Marinetti di Rivoli, Davide Scabin, ha spinto sull’acceleratore del nuovo spesso con troppo anticipo, chè come diceva Baudelaire “il pubblico rispetto al genio è un orologio in ritardo”.
Cucina Rambaldi esiste da quattro anni, in mezzo c’è stato quello che sappiamo, lo chef e la moglie Milena Pozzi –colonna portante di tutti i Combal della nostra vita- hanno anche loro dovuto trovare una quadra, sono sbocciati nell’ultimo anno.
All’imbocco della Val di Susa, area non propriamente turistica dove giaceva il primissimo Combal, hanno inteso istituire la loro dimora, elegante, attovagliata con grande cucina a vista dove l’ospite si sente a casa, e per forza di cose hanno prima spinto sulle due tradizioni, la piemontese di residenza e la ferrarese di nascita di Rambaldi, salvo aggiungere mese dopo mese suggestioni autonome, non necessariamente ispirate al futurismo di Rivoli.
I due coniugi vendono merce rara, sotto il segno di una virtù negletta, la solidità.
Rambaldi è l’unico vero allievo di Scabin, che come Fulvio Pierangelini è un artista puro, non ha lasciato una scuola come Marchesi e Bottura, stava per conto suo. Non è stato tre mesi dal bistellato nel borgo sperduto della Norvegia per finire altri sei mesi nel ristorante grandioso in Francia, da Ferrara è stato lì, tra Rivoli e Almese e ha sedimentato stile creativo e rispetto per i luoghi della sua vita.
Il suo è un vero ristorante moderno, dove il menu piemontese è rigoroso e il vitello tonnato da autentica Casa Savoia, dove cervella e cipolla è il piatto più richiesto e i cappelletti a regola d’arte hanno preso il posto degli agnolotti, ma anche dove nel saltapicchiare tra menu contemporaneo e proposte fuori carta le lumache alla Ravigote sono semplicemente sensazionali, il carciofo con fonduta di parmigiano alla liquirizia e vaniglia è una nuvola, e l’inserimento volontario della finanziera (non sempre disponibile) ci ha fatto capire che noi una finanziera come Dio comanda non l’avevamo ancora mangiata.
Nell’incursione a Milano, il riso è sostituito da un bao allo zafferano e il midollo è nudo e cotto alla brace, sfrigolante. Il risotto al miso, sakè e limone non esibisce le noiose esperienze degli chef in giro per il mondo, ma è equilibrio. La zuppa inglese rischia seriamente di essere quella della vita.
La modernità è proprio questa, conoscere profondamente le tradizioni e le tecniche, saper cogliere l’universale delle culture particolari (regionali e internazionali) e darne una versione e visione compiuta, intellegibile, che termina essenzialmente in un piatto fruibile, caldo, cucinato e piacevolmente impiattato, magari in una stoviglia preziosa che richiama pranzi familiari.
Convivialità, curiosità, calore. In una cucina apparentemente semplice, che dimostra ancora una volta che complicare è facile, e semplificare è difficile. E che non è così vero quello che diceva Paulo Coelho: “le cose più semplici sono le più straordinarie e soltanto il saggio riesce a vederle”. Perché non serve essere saggi per amare la cucina di Rambaldi, è una cosa che si vede da sé.
Cucina Rambaldi
Via Sant’Ambrogio 55, Villar Dora (TO)
Chiuso lunedì e martedì
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