Dal mio punto di vista un vero cuoco si vede quando riesce a fare un grande piatto con pochi elementi.
Per ottenere questo risultato è necessario avere molta cultura, una esperienza visionaria di quello che ci circonda e tanta sicurezza.
Abbiamo più volte insistitito in questa sede sulla cucina essenziale, non perchè le ricette barocche siano cattive, anzi, spesso sono straordinarie. Ma per capire davvero il rapporto tra il cuoco e la materia, la qualità più difficile da trovare in questo momento, si deve andare al sodo.
Molti stupiscono con la tecnica, ma io sono colpito dalla semplicità.
La semplicità non è la tradizione, perché questa è una convenzione, una fotografia di un punto di equilibrio raggiunto che resiste per più tempo di altri punti di equilibrio. Esempio, la mozzarella e il pomodoro. Ma come ha dimostrato Pino Cuttaia nella Nuvola di Caprese, ci sono modi e modi per far stare insieme questi due cibi. Oppure pensiamo all’assoluto di cipolla di Niko Romito che scarnifica la materia e lascia vivere solo l’essenza del tubero.
La tradizione, in realtà, è ciò che un territorio può produrre. Quello che cambia è spesso il modo dell’uomo di vedere queste materie.
Spesso associamo la mela ai dolci, ma sappiamo che nel Medioevo la frutta, in assenza di pomodoro e limoni, era il principale acidificante dei cibi e ancora oggi tante preparazioni di carne del Nord Europa hanno appunto prugne, mele, frutti di boschi.
Il genio visionario di Salvatore Tassa riesce a far unire due elementi lontani dall’immaginazione collettiva pur essendo vicini nella terra in cui vengono coltivati. L’aglio e la mela.
In questo piatto geniale l’asprezza e l’amaro dell’aglio, appena mediata dalla sfoglia di pasta, si immerge nel consommé di mela. Del frutto resta l’essenza, l’aroma, abbinata alla forza della acidità. La grande abilità del cuoco in questo caso è centrare il punto di equilibrio nel quale il raviolo e il brodo si fondono per diventare un’altra cosa diventando commestibili, ché se mangi solo uno o solo l’altro ti stanchi, ma cento insieme non ti bastano.
Non è tradizione questa?
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