Crescono il numero e la fama delle donne assaggiatrici di vino. Esiste per davvero un approccio “femminile” alla critica del vino o al suo racconto e, nel caso, come si distingue?
Come membro dell’Associazione italiana nazionale Le Donne del Vino mi rivolgo alle critiche di vino in Italia per saperne di più.
Oggi lo chiediamo a Valentina Vercelli
Giornalista professionista, vive a Milano ma scappa appena può per camminare tra le vigne. Firma le pagine del vino del mensile La Cucina Italiana e da molti anni collabora con la guida Slow Wine. Saltuariamente scrive anche per altre riviste di settore, come Civiltà del Bere, e partecipa come giudice a concorsi enologici. Sembra che abbia chiesto alla mamma il suo primo bicchiere di spumante a due anni e mezzo, invece è certo che abbia avuto la sua prima sbronza a 8 anni, grazie a un attimo di distrazione della nonna. Da allora, il suo approccio al mondo del vino è cambiato, ma neppure così tanto.
Quando e come nasce il tuo amore per il vino?
È stata una folgorazione sulla via di Damasco. Da sempre mi piace girare il mondo per scoprirne le tradizioni enogastronomiche oltre che i monumenti e le bellezze paesaggistiche. Già ai tempi dell’università preferivo investire i miei soldi in ristoranti e bottiglie, poi quando mi sono laureata ho cominciato la mia carriera come giornalista di turismo. La svolta è stata quando ho iniziato a lavorare per Viaggi&Sapori, un mensile di turismo enogastronomico, che purtroppo oggi non esiste più: tra i tanti reportage realizzati, mi è capitato di farne anche in territori del vino ed è stato un colpo di fulmine: conoscere i produttori, camminare tra le vigne, scoprire i vitigni meno noti… Da quel momento non ho più smesso… di studiare, di assaggiare, di scriverne e, soprattutto, di appassionarmi
A tuo avviso, come e quanto credi sia evoluta la critica del vino negli ultimi 20 anni?
Negli anni Novanta sono nati professionalmente alcuni critici che hanno fatto la differenza, molto spesso nel bene, alcune volte condizionando un po’ troppo gli stili produttivi. Oggi è scoppiata una “moda” del vino e si sono moltiplicate le figure professionali che se ne occupano a vari livelli, spesso purtroppo senza un’adeguata preparazione professionale e, soprattutto, senza la giusta umiltà. Quando invece c’è un approccio corretto, la pluralità di voci e contributi è una grande ricchezza, anche se forse è più difficile per i lettori trovare i propri punti di riferimento nel marasma di informazioni che si trovano su ogni mezzo di comunicazione. D’altro canto, sono proliferate in ogni città d’Italia i corsi delle associazioni come Ais, Onav e Fisar e sono cresciuti molto gli iscritti, un dato che mi fa immensamente piacere e anche sperare che si possa alzare il livello qualitativo della critica di settore.
Quali sono i tuoi riferimenti?
Non ho un “maestro” di riferimento a cui devo la mia formazione, anche se sono rimasta incantata da alcune degustazioni condotte da Daniele Cernilli o dalle tante giornate di lavoro insieme a Fabio Giavedoni di Slowine. Piuttosto, mi sento di ringraziare tutti quei vignaioli che mi hanno accolto nel corso
degli anni nelle loro cantine, raccontandomi dei loro vini, della loro terra e delle loro idee produttive. Assaggiare i vini insieme a loro, parlarne, esprimendo a volte anche i miei dubbi e chiedendo spiegazioni sempre, mi ha arricchito e mi ha fatto molto crescere professionalmente, come credo sarebbe stato impossibile altrimenti.
Credi che l’approccio alla degustazione cambi tra uomo e donna?
Non più di quanto cambia il modo di affrontare il mondo tra uomini e donne!
E come cambia l’approccio ai social e/o al modo in cui il vino si racconta nonché alla formazione di settore?
I social spesso diventano campi di battaglia dove squadre di ultrà di determinati vini o stili produttivi si scontrano in modo tanto offensivo quanto poco documentato oppure diventano la noiosa galleria delle bottiglie bevute e commentate a suon di sberleffi dagli utenti. Sono purtroppo pochi i post interessanti, sarebbe bello se questa proporzione si invertisse, ma capisco che è un’utopia per come vengono utilizzati oggi i social (non solo nel mondo del vino). Però se si ha la pazienza di cercare i riferimenti giusti si trovano cose interessanti: mi vengono per esempio in mente i podcast con interviste ai produttori realizzate lo scorso anno da Cossater, che ho ascoltato con estremo piacere.
Chi vedi nel futuro della critica enologica?
Chiunque abbia voglia di studiare, di impegnarsi e di accostarsi al vino con passione e senza preconcetti. Non bisognerebbe mai dimenticare che un critico ha una responsabilità nei confronti dei suoi lettori e anche dei produttori. Devono essere bandite le preferenze personali e perseguita la massima oggettività possibile.
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