Crazy Pizza a Napoli
Via Nazario Sauro, 1
Tel. 081 3355755
Aprto la sera, la domenica anche a pranzo
Ho deciso di far passare qualche settimana prima di andare a provare Crazy Pizza a Napoli. Questo perchè ogni locale va visitato per fare un report credibile al lettore solo dopo un po’ di tempo. Ci sono stato con tre esponenti del mondo della pizza napoletana: Alessandro Condurro ultima generazione di da Michele, Salvatore Grasso di Gorizia 2016 presidente delle Pizzerie Centenarie e Antonio Starita, presidente onorario della stessa. In pratica 350 anni di storia della pizza in una sola tavolata, imprenditori affermati e innovativi del settore. Ci ha fatto compagnia uno che il marketig tradizionale e digitale lo insegna, Marco Palmieri.
In fondo Crazy Pizza Napoli non è altro che la versione borghese di quella nazional popolare di Nennella. Buona roba nel piatto ma soprattutto divertimento e coinvolgimento totale degli ospiti che finiscono, qui come nella famosa trattoria dei Quartieri, per battere le mani, cantare a squarciagola a ritmi travolgenti e digestivi.
Flavio Briatore non poteva fare a meno di aprire nella città della pizza altrimenti non sarebbe stato credibile. Nel farlo ha portato il suo modello ristorativo che intercetta due tendenze moderne mondiali che alcune pizzerie trasformate in chiese cimiteriali dove sull’altare si celebra l’ego del pizzaiolo farebbero bene a fare proprio: il concetto di leggerezza nel piatto e quello di leggerezza a tavola.
Sul primo ha lavorato con un panetto che passa dai classici 280-300 grammi ai 130, dimezzando dunque l’apporto di carboidrati. Il tema del lievito centra come cavolo a merenda con quello della digeribilità. Una ossessione tipicamente italiana come ci fece notare Nathan Myhrvold durante la presentazione del suo monumentale libro sulla pizza nel 2022 colpito dall’uso abusato e spropositato dell’aggettivo digeribile. Ma è una scelta che carezza il pelo alle tribù (cit. Marino Niola) no carb e no lievito che hanno scelto di fare una vita alimentare di merda pensando di fare qualcosa di buono per il proprio fisico. Briatore ha ridotto il peso del panetto ma ha usato un trucco tipicamente napoletano per non dare la sensazione del poco a tavola: la sua è una pizza a ruota di carro, un bel diametro di almeno 35 centimetri. Cosa che nessuno degli espertoni o presunti tali ha sinora notato.
Sul secondo tema, la leggerezza a tavola cavalca alla grande il declino nell’idrosfera (cit. del ministro Giuli declinata a livello gastronomico) della noia sartriana del fine dining italiano. Anche i ricchi vogliono divertirsi, cantare a squarciagola, passare una serata spensierata a tavola mangiando cibo comprensibile senza dover interrompere la conversazione perchè il prete dice continuamente “ora in piedi”.
Detto questo ho bisogno di fare una piccola premessa: una cosa è sfottere Briatore, fare polemica con lui per prendersi un po’ di visibilità, nel gioco delle parti ci sta. Altra è stare incazzati perchè apre a Napoli. Mi sarei allora aspettato la stessa rabbia, la stessa indignazione, gli stessi insulti all’apertura delle catene di junk food americano, dei locali giapponesi, peruviani, cinesi: se Briatore è un oltraggio alla pizza napoletana questi non dovrebbero essere considerati un oltraggio alla tradizione napoletana, cioé italiana?
Dove è finita l’intelligenza napoletana che mastica tutto da ogni parte del mondo e lo trasforma in una cosa propria conosciuta come tale nel mondo, dalla pasta al caffè, dal pomodoro al babà?
Io credo che invece sia un segnale di crescita il fatto che a Napoli, solo per citare gli ultimi arrivi, si stiano misurando personaggi come Alain Ducasse e lo stesso Briatore che sino a dieci anni fa non avrebbero mai preso in considerazione di venire in città se non per fare scalo verso Capri o la Costiera. Per la prima volta una casa di Champagne, che in genere non scendevano mai sotto Roma se non per delle puntatine a Capri, ha scelto Napoli per presentare in Italia in anteprima una sua etichetta. Parlo di Paillard. Questa sarebbe una offesa ai viticoltori campani e del Sud?
Su svegliamoci, anche se credo che chi la pensa così non sia arrivato sino a qui con la lettura, ammesso che sia capace di leggere e scrivere.
Crazy Pizza è un locale dove si sta bene, al forno c’è Paolo Testa, pizzaiolo napoletano (di cui nessuno si era chiesto nulla, altro segno dei tempi) che si è fatto le ossa da Gennaro a Secondigliano per molti anni, altra pizzeria centeneria. Personale molto qualificato, con il sorriso verso il cliente, la carta dei vini è buona anche se altri campani soprattutto fra i bianchi non guasterebbero e qualche Champagne in più, non le solite marche per sboroni, non ci starebbe male. Gli antipasti sono agili e buoni, di ottima materia prima su cui non si lesina, con le patate fritte e il tartufo si svicola un po’ verso il food porn grazie al dressing. Ma è un momento. Tutto è improntato alla leggerezza, dalle tartare alle insalate, presenti anche tre piatti di pasta tra cui lo spaghetto al pomodoro. Vasta la scelta delle pizze, noi abbiamo mangiato le iconiche, più vendute: la margherita, la vesuviana, quella famosa con il patanegra (adesso poggiato crudo sulla pizza) e la bianca con il tartufo.
Tutto finito, decisamente buono, e soprattutto bevendo poco e evitando il dolce ci si alza con una sensazione di leggerezza assoluta,
In sostanza il locale, più che nella categoria pizzerie, andrebbe classificato tra quelli specializzati in apericena nati a Milano, ogni mezz’ora entrano i pizzaioli acrobatici e tutto il personale invita i clienti ad accompagnarli con il battito delle mani. Si crea una atmosfera di stile spagnolo, o da discoteca se volete, per cui la gente canta e si sbraccia come se non ci fosse un domani.
La musica è a palla, come in tutti i locali di questo genere, per cui se dovete passare una serata romantica o discutere d’affari meglio andare altrove.
Conclusioni
Un locale da visitare senza dubbio, buono il rapporto fra qualità e prezzo, da andarci in comitiva magari è meglio. Come ha scritto Marco Palmieri, un segmento di mercato lasciato libero e colto da Briatore. Si discute molto sulla sua longevità passata la novità dell’apertura. Ma per questo giudizio definitivo bisogna aspettare almeno un anno solare, sarà il mercato a darci il responso sui fatti.
Ps: Non credo che questo formato sia un attacco alla pizza napoletana tradizionale, girando per la Campania vedo ben di peggio nelle pizzerie. Stili e tradizioni che non hanno nulla a che fare con Napoli adotatti da pizzaioli senza tradizione per far fare le foto su Instragram.
Dai un'occhiata anche a:
- Avenida Caló: Francesco Calò porta la sua enopizzeria da Vienna a Roma nel cuore del Flaminio
- Pizzeria Maturazioni: la pizza “napoletana del Vesuvio” a San Giuseppe
- Matteo Muscolo, la pizzeria per solo otto persone a sera è in Calabria e costa 70 euro!
- Meunier Champagne e Pizza: la migliore pizzeria umbra, carta dei vini inclusa
- Pizzeria Guakamaya nel centro storico di Isernia, da un’idea di Carlo Tamburro
- La Rosa dei venti, a Mede Alessandro Cardone guida l’innovazione della pizza
- L’Apulian Pizza di Michele Lococciolo e famiglia della Pizzeria Il Tronco a Monopoli
- L’Antica Pizzeria Da Michele porta la storia e la tradizione a Caserta