Questo post è di appena una settimana fa, precisamente del 28 settembre, ma torna di attualità adesso che si parla concretamente di realizzare un coprifuoco alle 23 se non alle 22.
La gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti, ma i fatti hanno dimostrato che ristoranti e pizzerie non sono focolai di infezione e rischiano di pagare le follie notturne della Movida e degli spostamenti. Nell’immaginario del mondo politico si tratta della stessa cosa, ma sappiamo bene che non è così perchè si tratta di attività completamente diverse e di pubblico diverso.
Se passasse questa norma sarebbero soprattutto i ristoranti del centro sud ad essere penalizzati perché si praticano orari più “spagnoli” ed è quasi impensabile andare a cena alle 20.
Passerebbe inoltre il messaggio, falso, della pericolosità dei ristoranti.
Purtroppo la ristorazione rischia di pagare le follie delle notti, come ieri, con migliaia e migliaia di ragazzi per strada senza mascherina ad abbracciarsi, bar aperti sino alle quattro di notte con musica a palla in dispregio dei residenti pur di fare cassa. E nessuno che controlla, altro che lanciafiamme elettorali.
Secondo il nostro parere questa chiusura sarebbe un errore tragico con tragiche conseguenze.
Extrema Ratio, basterebbe spostare la lancetta dell’orologio almeno di un’ora, diciamo le 24, per riuscire a far coincidere le esigenze di sicurezza e di lavoro. E’ quella l’ora, infatti, in cui gli eroi della movida escono di casa per affrontare la notte dopo aver dormito tutto il giorno.
Si parla di nuovo o nuovi lookdown, l’Italia però deve fare tesoro di quello che è successo in Primavera per evitare il tracollo. Ristoranti e pizzerie non possono pagare le follie della Movida, chi si siede dopo aver misurato la temperatura e consegnato un documento di identità non può pagare per chi sta stravaccato ubriaco e fatto sino alle quattro di notte perchè tanto il giorno dopo deve dormire.
Una cosa è certa, il Covid 19 ha accentuato delle tendenze che già erano in atto nel nostro rapporto con la ristorazione, magari coltivate da una minoranza della clientela, ma a cui adesso badano tutti. Le chiameremo le due “S”: salute e sicurezza.
La sicurezza sembra essere diventata la nuova ossessione dopo il Covid, fanno appunto eccezione i frequentatori della Movida che non sembrano avere questo problema fra le priorità, almeno stando a vedere foto e immagini su Facebook il giorno dopo in tutte le città d’Italia.
Dobbiamo dire che il settore ristorativo italiano è tra i più sicuri al mondo. Può certo capitare un episodio, ma è talmente raro da finire sui giornali perchè, appunto, è una notizia. Ci sono protocolli rigidi sia sul trattamento degli alimenti (ad esempio il pesce deve essere obbligatoriamente abbattuto prima di essere servito crudo) sia sui protocolli comportamentali. Certamente in Italia c’è una mania per la pulizia che non ha riscontri nel Mondo e di gran lunga superiore alla media dei locali francesi e spagnoli, tanto per fare paragoni di paesi che vivono di turismo gastronomico come e più di noi.
Il Covid 19 ha accentuato i protocolli e dobbiamo dire che le regole sono rispettate rigorosamente in città, forse un po’ meno nei paesi delle zone interne, dove il tema non è stato particolarmente sentito fatta eccezione per alcune zone rosse.
La sicurezza è dunque un caposaldo su cui costruire qualsiasi progetto ristorativo e siamo convinti che questo tema resterà attuale anche quando, speriamo presto, l’emergenza sanitaria sarà solo un brutto ricordo da raccontare alle nuove generazioni.
Ma parallelamente a questo tema, quello della salute e del benessere è diventato decisivo.
Possiamo partire proprio dalla pizza dove la digeribilità dell’impasto è diventato prioritario nell’impegno di qualsiasi pizzaiolo che si rispetti. Certo, viene poi da sorridere se ad impasti leggeri e digeribili perché ben lievitati si aggiungono come farce mozzarelle e salumi in abbondanza. Ma almeno, anche in questo caso, si tratta di roba di prima qualità.
Ma la salubrità del cibo che si mangia al ristorante non è affidato più ad alimenti punitivi, bensì alla storia, alla tracciabilità, del prodotto, sia esso vegetale, di mare o di carne. Anche in questo caso il nostro Paese ha buona fama, a volte decisamente usurpata quando si tratta di polli e carni in generale. La sensibilità dei consumatori verso questo tema sta diventando sempre più importante. E non è solo un problema economico, perché è vero che sul bio in tanti ci fanno bei soldini solo giocando sul marketing più che sui costi effettivamente sostenuti di produzione. Ma è soprattutto un problema culturale. Quanto fa bene una frutta imperfetta rispetto ad una uscita dal quadro di un pittore? E quanto un pollo la cui carne si stacca con difficoltà dalle ossa perché nella sua vita ha camminato? E quanto sono buone le parti degli animali che ormai quasi non si mangiano più come le interiora? E quanto è più salutare un cefalo o una triglia rispetto ad un dentice di allevamento intensivo o di un salmone a cui è stato dato del colorante come cibo?
Ecco perchè questo tema della salute si coniuga perfettamente con quello della sicurezza e i ristoratori del futuro non possono non tenerne conto ben sapendo che spesso si coniuga con quello, meno immediato ma non per questo meno importante, della compatibilità ambientale.
Intanto speriamo che un settore di eccellenza non venga confuso con chi non ha nulla a che fare con la qualità e la sicurezza.
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