di Martino Iannone*
Caro Luciano,
dal 23 al 28 settembre a San Vito Lo Capo (Trapani) si è celebrata l’11/ma edizione del Cous Cous Fest. C’ero anche io, finalmente. Era tanto che volevo andarci. Suggestiva la location, qualche pecca l’organizzazione, interessanti ma impossibili da tastare i tanti tipi di cous cous provenienti da tradizioni gastronomiche africane, sudamericane ed europee, incongruente davvero incongruente il modo proposto per assaggiare le pietanze, male davvero malissimo la presentazione della serata che assegnava i premi. Vado con ordine.
LOCATION. Voto 7
San Vito Lo Capo e’ senza ombra di dubbio quella perla del Mediterraneo pubblicizzata da tour operator e depliant turistici. Mare, spiaggia, servizi, prezzi al passo coi tempi. In piena estate e’ satura di turisti, consiglio di soggiornarvi da meta’ settembre in poi e magari anche a ottobre inoltrato. Pesce freschissimo, pasta fatta a mano, verdure vere, vini tipici, pane sempre caldo, olio extra vergine isolani abbondano: San Vito potrebbe sponsorizzare una campagna mediatica per diffondere l’etica del giusto rapporto qualita’-prezzo. Ci sono poi le escursioni in mare e nell’interno come riserva naturale dello zingaro, Erice e soprattutto Selinunte e Segesta.
ORGANIZZAZIONE. Voto 5,5
Ordinata, attenta all’igiene, animata da persone a modo e sempre disponibili. L’area di festa e’ inserita con gusto tra le stradine del borgo marinaio di San Vito. Ci sono spazi per le degustazioni di vini, di formaggi e di tutto cio’ che parla siciliano a tavola. Tutto il paese e’ vivo dall’alba a notte inoltrata, compresi supermercati, forni e bus navetta da e per i parcheggi auto.
COUS COUS. Voto 4
Il piatto rivive in questo festival attraverso decine di varianti internazionali sul tema: verdura, pesce e carne si seguono e si inseguono lasciandosi ammaliare da spezie piu’ o meno invasive. Primo neo il costo: per un solo misero assaggio ci vogliono 10 euro a persona, non pochi per il piatto povero dei poveri per antonomasia. Dopo la ressa della coda “all’italiana”, ti attende un piatto di cartone rigido nel quale il cous cous soffre accanto al suo scarno condimento. Nell’altra mano poi ti mollano anche un mezzo bicchiere di vino, bianco o rosso locali (!) spillati da un mega tetrapack. Resti in piedi con la busta di carta delle posate di plastica in bocca e per raggiungere uno spazio vitale invochi il teletrasporto di Star Trek. Quando finalmente raggiungi una parete libera ti appoggi e resti immobile indeciso su quale mano liberare. I piu’ audaci provano a sedere su uno scalino umidiccio di vino o brodaglia colati. Modi berberi da cous cous? No, anomalie barbariche and stop. Non portate i bambini.
PREMIAZIONE. Voto zero
Sul palco, a invitare i padellanti, c’erano professionisti dell’informazione calati da tubi catodici conturbanti e da palinsesti radiofonici nottambuli. In gara, a preparare cous cous, c’erano accanto a italiani e francesi, cuochi e cuochesse giunti da Costa D’Avorio, Israele e Palestina, Marocco, Tunisia e Senegal. Alla fine i presentatori hanno ridicolizzato i nomi e i cognomi dei cuochi provenienti dai paesi poveri (o in via di sviluppo, come da no global si preferisce per liberarsi dai sensi di colpa). Tra una risata e uno sberleffo e invitando il pubblico a barzellettare con applausi la difficolta’ nel ripetere un nome e un cognome senegalese, tunisino o ivoriano, i presentatori hanno fatto in modo che a vincere sia stata la mancanza di rispetto verso il diverso in un festival che come parole d’ordine ha integrazione, dialogo e tolleranza. Quanto occorreva a Rossella Brescia e Nick the Night Fly ripassare solo per un attimo la giusta fonia dei nomi e dei cognomi prima di salire sul palco dove hanno poi fatto sfoggio del loro pantagruelico impegno sociale a favore delle cause giuste?
*giornalista Ansa Firenze
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