Ho lasciato il mondo schifoso di bunga bunga e conati di cemento per camminare nel Sentiero degli Dei. Pensavo fosse dalle parti dell’Olimpo e a 18 anni, subito dopo la maturità, mi dileguai con sei amici in cerca di Hermes senza troppo successo: a Sulthanamet, partivano bus per il Nepal e Kabul, c’è chi andò a cucinare spaghetti sul mar Nero turco, chi inseguì il nirvana perché bastavano 100 dollari.
Io girai la prua e mi diressi a Delfi, l’oracolo mi disse: quel che cerchi lo hai sotto il naso, ma ti serviranno dieci anni per trovarlo, venti per vederlo e trenta per capirlo.
Nel 1986 iniziai l’ascensione con il tergicristallo impazzito a farmi largo nella pioggia tra le gole di Furore. Fu lì che conobbi Raffaele Ferraioli. Era sindaco di un paese senza piazza, di strade senza case, esisteva solo il suo albergo di famiglia costruito quando nel 1933 aprirono la strada di collegamento tra Amalfi e Agerola, una cima per tenere l’isola amalfitana al Continente.
Dopo dieci anni tornai, di fronte all’albergo il cugino Andrea Ferraioli e la moglie Marisa Cuomo avevano avviato la produzione di vino, avevano aperto alcuni B&B, in quei tornanti diretti verso l’azzurro la mente si apre a gusti impazziti. E poi due agriturimi, Serafina e Sant’Alfonso. Niente cemento, muri a secco e terrazzamenti di pergole, murales di artisti nelle case, e poi il Fiordo dove si rifugiarono Anna Magnani e Roberto Rossellini finalmente recuperato.
Un pezzo di terra anonimo, di passaggio verso Amalfi e Positano, era diventato luogo dell’anima, amore per l’impossibile.
Questi tornanti sono esempio di recupero rurale, di restauro culturale. Sono la trincea di ogni appassionato di vino, il miracolo di un Sud onirico e ammaliante. Cominciammo a mangiare verso le due con Vito Puglia e finimmo a notte inoltrata dopo aver divorato e bevuto fino in fondo le sinistre minacce delle rocce dove è facile morire ma difficile cercare la morte. Fu impossibile rientrare nella realtà. Ma quale realtà?
Fu dunque chiaro ove non fosse realistico pensare di vino senza aver visto la vigna, internet non c’era ancora, ma è evidente scorciatoia a vicolo chiuso perché se non si possiede l’anima di chi produce e non si entra nel suo vigneto è impossibile lasciare parole significative e significanti.
Furore viene amata, le bottiglie di Luigi Moio avvolgono Luciano Di Lello e Franco Ricci, poi anche gli altri. Dietro il successo c’è la verità, del lavoro, della voglia di sostenere l’agricoltura anziana. Quattro anni per scavare nella roccia e conquistare finalmente lo spazio necessario per essere autonomi e autosufficienti.
Il panorama è di libertà perché è verticale, potrebbe essere claustrofobico come sulle montagne, ma c’è il mare ad aprire la via di fuga e tutto si rasserena.
Ho dunque camminato sul Sentiero degli Dei per cercare il loro vino. I veri Dei sono i contadini che coltivano l’uva, gli operai specializzati capaci di costruire i muretti a secco, le persone impegnate ad investire su qualcosa che mai potranno godere, sono Dei coloro i quali al ristorante chiedono: a me ripoli e pepella, a voi chardonnay e merlot.
Gli Dei sono persone in armonia con se stesse e con il reale. L’armonia non è succo naturale, ma operosa opera dell’uomo: i terrazzamenti si sudano, esprimono la fanatica volotnà umana di dominare l’assoluto, dominio e non sfregio. Il primo è colto, il secondo vede corto. Chi ha cultura mette la pergola in Costiera, chi è ignorante fa di un bagno nuova stanza abusiva.
Qui nasce il vino di Marisa Cuomo.
Ecco perché vi lasciamo con questa dedica dove immagini femminile quel che per il resto del mondo è maschio:
Ho bevuto il vino degli Dei. Lo avevo vicino, ma l’ho scoperto molto tempo dopo
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