Da un articolo sulla presentazione del Montevetrano 2008 si è sviluppata una interessante discussione sulla questione degli aromi terziari. Per questo ci siamo rivolti al professore Luigi Moio, ordinario di Enologia alla Federico II e presidente del gruppo di esperti di enologia dell’OIV (l’organizzazione mondiale della vigna e del vino), nonché famoso enologo oltre che grande produttore con Quintodecimo.
Ci spiega cosa sono gli aromi primari, secondari e terziari?
La distinzione in aromi primari, secondari e terziari non è altro che un vecchio approccio semplificativo che risale a circa una sessantina di anni fa. Oggi è una classificazione anacronistica e soprattutto non esaustiva, nata in un periodo storico in cui le conoscenze sulla composizione della frazione volatile del vino erano molto limitate. Infatti in quegli anni erano state identificate appena alcune decine di molecole volatili, mentre oggi ne conosciamo alcune migliaia.
La sequenza primari, secondari e terziari si basa sull’origine delle molecole odorose nel corso del processo di trasformazione uva-vino. I primi studi sulle frazione volatile del vino sono stati condotti sul Moscato. Infatti, l’uva di questa varietà ed il rispettivo vino, sono risultati un modello ideale di studio per il loro elevato contenuto di sostanze odorose. L’agevole percezione di precisi odori durante la degustazione di queste uve e dei loro vini, hanno indotto i primi studiosi a parlare di aromi primari, secondari e terziari, intendendo per primari quelli dell’uva, secondari quelli prodotti durante la fermentazione alcolica e terziari quelli derivanti dall’invecchiamento del vino (indipendentemente dal contenitore impiegato per la conservazione). Successivamente questa classificazione è stata erroneamente generalizzata ed applicata alla maggioranza dei vini senza tener conto degli avanzamenti delle conoscenze scientifiche del settore per cui oggi questa suddivisione in “comparti stagni” risulta semplicistica ed incompleta in quanto i fenomeni legati alla biogenesi dei componenti volatili nel vino ed alla qualità dell’odore da essi emanato sono estremamente più complessi ed interconnessi.
Possiamo capire meglio in cosa è cambiato l’approccio scientifico su questo tema?
Per esempio, se l’odore primario è univoco e facilmente rilevabile nel caso del Moscato (le molecole volatili responsabili di tali odori appartengono alla famiglia dei terpeni) non è altrettanto facile da rilevare nelle varietà di uva cosiddette neutre. Queste ultime non contengono significative quantità di molecole odorose, direttamente percepibili, specifiche della varietà di uva, ed i loro mosti sono essenzialmente caratterizzati da deboli note erbacee dovute principalmente ad alcuni alcoli ed aldeidi. Tuttavia, i vini da esse ottenute, in alcuni casi, sono facilmente riconoscibili all’assaggio e riconducibili alla varietà di uva di origine.
Un ottimo esempio di tale comportamento è possibile osservarlo nelle uve Sauvignon blanc e Pinot noir. Infatti, nelle uve di queste cultivar i cosiddetti aromi primari sono in una forma chimica “silente” e solo dopo le attività biochimiche di natura fermentativa ed altre trasformazioni diventano percepibili nel vino.
Quindi mantenendo il termine primari, potremmo essere più precisi parlando di primari diretti (Moscato, Gewurztraminer, Malvasie aromatiche) e primari indiretti (Sauvignon blanc, Chardonnay e Pinot noir).
Come possiamo definire la differenza tra odore e aroma?
Le osservazioni sulle uve Sauvignon blanc e Pinot noir ci spiegano perché, opportunamente, la comunità scientifica che si occupa di analisi strumentale e sensoriale della frazione volatile degli alimenti distingue in modo preciso i due termini: odore ed aroma. Il primo corrisponde alla percezione olfattiva nasale diretta, che avviene attraverso le narici in seguito all’annusamento; il secondo è invece lo stimolo olfattivo percepito per via retronasale, in seguito all’introduzione dell’alimento nella cavità orale. Mentre nel caso dell’uva Pinot noir, e la stragrande maggioranza delle uve non aromatiche, la differenza tra odore ed aroma non è molto evidente, nel caso dell’uva Sauvignon blanc le due modalità di percezione olfattiva generano sensazioni completamente differenti. Infatti, mentre gli acini integri presentano un odore quasi neutro, gli stessi, introdotti nella cavità orale, dopo masticazione e deglutizione, generano un “ritorno olfattivo” che ricorda quello emanato dalla fogliolina di bosso e/o dal frutto della passione. Questo fenomeno è dovuto alla liberazione, da parte di enzimi della saliva e della flora batterica della cavità orale, di molecole solforate responsabili di tali percezioni olfattive. Ecco perché in questo caso è più corretto parlare di aroma primario indiretto.
Cosa ci può dire degli aromi secondari?
Anche qui c’è da fare molta chiarezza. Con i secondari dobbiamo parlare essenzialmente di esteri ed alcoli superiori di origine fermentativa. I componenti volatili appartenenti a queste due classi chimiche sono tipici prodotti secondari della fermentazione alcolica, indipendentemente dalla matrice alimentare di partenza. Gli esteri (amilici ed etilici di acidi grassi a corta catena) sono caratterizzati da note fruttate del tipo banana, mela, melone, ananas, ecc.; gli alcoli superiori sono stati, storicamente, associati sempre alla cosiddetta vinosità. Essi in pratica sono responsabili del fondo aromatico di qualsiasi bevanda di origine fermentativa. Quindi quando in un vino sono chiaramente percepiti significa che il vino in esame è estremamente povero di molecole odorose.
Inoltre, molto importante è l’equilibrio quantitativo tra esteri ed alcoli di origine fermentativa, esso influenza enormemente la qualità olfattiva del vino giovane ed in modo particolare quella dei vini bianchi ottenuti da uve non aromatiche.
Moltissime variabili, anche più dei lieviti stessi che conducono la fermentazione alcolica (indigeni o selezionati) influenzano in maniera significativa l’equilibrio tra esteri ed alcoli. Alcune di esse sono: torbidità del mezzo, disponibilità di nutrienti azotati, pH, livello di ossigeno del mezzo e temperatura di fermentazione.
E, infine, i terziari?
E’ oramai di uso comune dire che sono gli odori del vino invecchiato. Però è proprio sulla definizione di terziari che il tutto si complica ancora di più. Sia perché le ricerche sulla fase evolutiva del vino sono ancora limitate e frammentarie, sia per l’elevato numero di variabili che influenzano l’evoluzione del vino nel tempo. Alcune di esse? Varietà di uva, colore del vino, tipologia di vino, metodologia di vinificazione, stato sanitario delle uve, composizione chimica delle uve, pH, potenziale di ossido-riduzione del vino, modalità di invecchiamento, tipo di contenitore, temperatura, ecc.
Ma, in generale, durante l’invecchiamento del vino, indipendentemente dal contenitore, che in pratica accelera o rallenta il processo evolutivo, viene a determinarsi un decadimento degli esteri di origine fermentativa, un aumento degli odori di natura varietale (a patto che il vino sia provvisto di precursori varietali) ed una reattività chimica di una serie di molecole, dovuto essenzialmente a processi di ossidazione, esterificazione, acetilazione e “resinizzazione”. Questi fenomeni si verificano in tutti i vini ed il momento in cui è possibile percepire odori cosiddetti terziari, dipende dalle innumerevoli variabili elencate prima.
Un vino terziarizzato è necessariamente vecchio?
In alcuni casi è possibile riscontrare note sensoriali di “vino vecchio” nell’arco del primo anno di conservazione o addirittura immediatamente dopo la fine della fermentazione alcolica è chiaro che in questi casi siamo in presenza di una forte accelerazione dei processi di decadimento ossidativo già a partire dalla fase di ammostatura.
Le cinetiche di ossidazione sono essenzialmente regolate dalla capacità del vino a resistere al processo di ossidazione. Per esempio, nel caso di vini ottenuti da varietà adattate a climi più freddi e coltivate in zone più calde, i processi di decadimento sensoriale ossidativo possono essere molto precoci, per via di una composizione ed un equilibrio chimico naturale del vino più predisposto ai fenomeni ossidativi.
Infine, agli aromi terziari è spesso associata l’eleganza e la finezza olfattiva del vino ed in parte ciò è vero, tuttavia affinché si verificano le condizioni per una tale evoluzione sensoriale è necessario che il vino sia ben provvisto di precursori aromatici varietali e che il processo di amplificazione ed armonizzazione odorosa avvenga molto lentamente e senza alcun tipo di deviazioni e/o derive. In caso contrario, il quadro aromatico che viene a generarsi non è altro che quello associabile al cosiddetto odore di “vino vecchio”, non affatto elegante, anzi molto banale e soprattutto omologante in quanto responsabile di un decadimento dell’identità olfattiva del vino e di una sua standardizzazione, in modo particolare se si verifica in vini, bianchi o rossi, ottenuti da uve non aromatiche.
La degustazione deve indovinare quello che ci spiega la ricerca scientifica?
I concetti riportati in questa breve disamina sull’aroma del vino si basano sull’osservazione sperimentale e di conseguenza sui dati analitici prodotti dalla ricerca scientifica in tale settore negli ultimi anni.
E’ chiaro che l’approccio della degustazione edonistica del vino è completamente diverso in quanto fortemente influenzato dalla soggettività del degustatore che, in base alla sua esperienza di vita, cultura, stato d’animo, ecc., crea in piena libertà la propria personale descrizione sensoriale e, tutto questo, è uno dei punti forza principali della grande magia del vino.
(ha collaborato Sara Marte)
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