di Ugo Marchionne
Kobe: questo sconosciuto! No, non è il titolo di un nuovo saggio sulla carne, ma è la sintesi di uno degli argomenti che più di ogni altro è al centro dell’ attenzione, per quanto riguarda la cucina giapponese. Questa particolare e pregiatissima qualità di carne proviene da una rarissima razza di manzo, caratterizzata dal distintivo colore nero e dalla mole imponente. Questi animali infatti furono introdotti in Giappone al fine di coadiuvare i contadini nella pesante coltivazione del riso gohan. Nel diciannovesimo secolo i giapponesi cominciarono a consumare questa carne e ne rimasero affascinati dalla sua tenerezza e dalla distintiva marezzatura. Il nome esatto della specie è Kurolem Wagyu o Tajima Wagyu, ad indicarne proprio la caratteristica colorazione nera, la parola Kuro in giapponese significa per l’ appunto nero. Kobe è semplicemente la città situata nella prefettura di Hyogo, divenuta famosa per l’ allevamento del Wagyu.
Il Kobe beef è oramai divenuto una pietanza iconica, circondata da un alone di mistero e mito. I bovini che devono raggiungere minimo i 470 chilogrammi di peso vengono massaggiati e nutriti in modo da raggiungere un elevatissimo grado di marezzatura e marmorizzazione della carne, dal gusto avvolgente. Al giorno d’ oggi però, soprattutto dopo la fine dell’ embargo che impediva l’ esportazione del Kobe al di fuori del Giappone, lo troviamo un po’ dovunque scritto sui menù dei ristoranti del mondo, quasi a giustificare quel paio di cifre in più aggiunte al prezzo della pietanza. Anche a Napoli oramai un pò dovunque, dalle hamburgerie ai ristoranti di sushi. dalle macellerie alle steak house troviamo menzione del leggendario Kobe, ma la domanda sorge spontanea: sarà vero Kobe?
Anche se sembra difficile, a Napoli non è impossibile poter assaggiare il vero Kurolem Wagyu, ma è possibile degustarlo in diverse varianti e proposte, al fine di poterne apprezzare le enormi potenzialità di sapore che hanno affascinato i palati di tutto il mondo, non solo quelli nipponici. Il Kobe inoltre è una carne molto versatile che si presta a numerosissime preparazioni della cucina giapponese, ecco quindi come diventi facile, piegare questa materia prima all’ estro e all’ inventiva degli chef dei ristoranti partenopei, dei quali di seguito troverete alcuni piatti e dove sarà possibile degustarli.
NIGIRI: Se amate i nigiri, preparati da un grande maestro della cucina giapponese, non potete perdere quelli di Jap-One in via Cappella Vecchia. Ignacio Ito propone il Kobe al naturale, in tutta la sua semplicità. Nonostante il riso di Ignacio Ito non sempre brilli e si distingua per compattezza ed a volte sia troppo cedevole, questo difetto strutturale viene compensato dalla delicatezza e dal condimento del riso che si combina in modo interessante alla scelta di adottare per questo tipo di sushi, il filetto, meno burroso ed avvolgente.
NIGIRI OMAKASE: Leggermente diversi e più complessi i nigiri proposti da Noriko Ide, Edomae di Trippicella Luxury Streetfood in via Cavallerizza. Noriko-Sama con il suo tocco femminile, acidula leggermente il riso ed i nigiri risultano perfettamente strutturati, serviti in degustazione in duplice variante, la prima connotata dal puro Kobe, coronato dallo zenzero candito e dal cipollotto, a bilanciare la setosa consistenza del grasso del Rib-Eye , e la seconda più consistente, di filetto mignon, molto più deciso e corposo, ingentilito da un condimento in cui le note dolci della soia e della salsa ponzu venivano fuori con carattere.
TIRADITO: Il Kobe però si presta anche a numerose preparazioni affini al carpaccio o al sashimi. Il primo di questi viene proposto dallo chef Stefano Esposito di Tender Sushi Bar. Il Kobe, qui è preparato in modo davvero interessante, affettato in fette molto sottili, quasi dello spessore di una fettina di bresaola ed irrorato con una salsa dolcissima detta Nikari. La marinatura a base di salsa Teriyaki, contribuisce a smorzare il sapore forte della carne e ciò che salta al palato è rappresentato dal fattore “melt-in-your-mouth”: la carne si scioglie letteralmente in bocca.
CARPACCIO: La versione del carpaccio proposta dal ristorante Zenbu. nel cuore del Vomero è nettamente diversa. Più marezzata la carne. Zero marinatura. Zero condimenti. Soltanto una guarnizione all’ ultimo secondo di cipolla rossa, peperoncini Jalapeno e salsa ponzu e Chipotle. Domina la nota piccante, si cerca di bilanciare la burrosità della carne come si può e il bilanciamento della piccantezza è una trovata interessante, il piccante però è risaputo non è amato da tutti, varrebbe la pena giocare più sull’ acidità.
SASHIMI: Il sashimi di Noriko Ide da Trippicella è davvero delicato, carne proveniente dalla città di Kurogi, abbinata ad una salsa dolcissima e densa di cui la base è una purea di mela, zenzero e salsa di soia. Nota finale, un crumble di sesamo tostato che lega le due componenti, donando un crunch divertente. Da abbinare assolutamente ad un calice di buona birra artigianale, cosi da pagar tributo al Wagyu stesso.
BISTECCA: Se volete assaporare però la carne di Kobe al meglio, assaggiarla nella sua interezza è la scelta migliore. La bistecca che chef Stefano Mazzone del ristorante Rendez-Vous del Grand Hotel Quisisana di Capri, potrebbe essere ciò che fa al caso vostro se amate la sostanza. Un tripudio di manzo, un monumento alla carne giapponese, semplicemente servita con spinaci saltati, aglio croccante e salsa olandese. Influenze francesi e materia prima nipponica per un secondo di gran carattere che vale la pena provare.
La fama del Kobe, del vero Kobe giapponese è meritatissima e val bene la pena di provarlo e di pagare qualcosina in più per poterlo degustare. State attenti però alla dicitura sul menù, meglio essere sicuri e farsi mostrare gli incartamenti di provenienza della carne, sicuramente riconoscerete l’ alfabeto Kanji e credetemi quella sarà la garanzia e l’ assicurazione di qualità e provenienza che stavate cercando.
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