La lezione di Vincenzo Mercurio
di Monica Piscitelli
Cavolo, mela marcia, peperone verde, muffa, terra bagnata e così via. Tutti questi, e molti altri ancora, sono nel vino, così come i fiori, i frutti e gli altri gradevoli profumi. Risulta, si sa, incomprensibile a molti neofiti come i bravi degustatori possano evidenziare un buon numero di riconoscimenti olfattivi annusando il vino.
Per lo più questa impressionante abilità è frutto di un bel bagaglio di esperienza sensoriale e di un po’ di pratica. Tutti a meno di impedimenti patologici, posso arrivarci.
Quello che resta un mistero, e fa sorridere gli scettici, è come ci siano finiti, nel vino, le more, le prugne e il geranio. Ad esempio.
In realtà, spiegano gli esperti, non si tratta che di sostanze chimiche che si formano nel corso del lungo processo che porta l’uva dalla vigna al bicchiere. Ognuna di queste sostanze, insomma, corrisponde a una molecola, con tanto di nome scientifico. Vale per i profumi, come per le puzze.
Sono queste ultime il grattacapo dei produttori e dei sommelier. Individuarle, prevenirne la formazione o neutralizzarle è di fondamentale importanza per chi lavora nel vino.
Di tutto questo si è parlato all’hotel Crown Plaza di Castellammare durante la prima edizione del “Corso per il riconoscimento dei difetti sensoriali del vino” promosso da Vinidea in collaborazione con Intellioenò, istituzioni si avvalgono in Campania, e per il Sud Italia, della collaborazione dell’enologo Vincenzo Mercurio. 6 i moduli, 50 i campioni degustati dai circa 40 discenti, per la gran parte produttori, sommelier e degustatori. Un corso essenzialmente pratico, nel quale la teoria sta a corredo della degustazione di campioni contaminati da parte del difetto, di un vino bianco e di un vino rosso. Attraverso le 6 tappe del format di corso, Mercurio, attraverso lo studio di soluzioni di vino – difetto, prende in rassegna una buona parte degli sgradevoli e indesiderati difetti derivanti da problemi in vigna, dalla fermentazione alcolica, da quella malolattica, dalla maturazione in cantina e dall’affinamento in bottiglia.
Alla fine di 6 ore intese di lavoro, tramite ripetute prove e verifiche, la classe riesce, alla fine, ad individuare la presenza o meno del difetto, e a dargli un nome. La puzza di tappo diventa “le puzze di tappo o muffa”, il “gas” diventa Etantiolo e la terra bagnata la “Geosmina”.
Non è affatto un gioco, tenendo conto che la riuscita di un vino dipende dalla giusto controllo di queste molecole, ma è tutto sommato, anche per i meno esperti ma comunque appassionati e curiosi, divertente puntare il dito su una puzza e dire “ti ho riconosciuto Brett!”.
Più in là, poi, un corso del genere non solo consente sapere che il confine tra tipicità e difetto, tra complessità e cocktail di molecole, è sottile, ma anche di individuare il momento esatto, scientificamente misurato, nel quale si sconfina nell’uno o nell’altro.
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