di Marco Milano
La conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, ventiseiesima convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è chiusa a Glasgow dopo due settimane, sotto la presidenza del Regno Unito, è stata per quanto concerne l’agricoltura e il sistema alimentare, secondo quanto sostenuto da Slow Food portatrice di “false soluzioni”. In particolare la parte dei lavori dedicata alla natura e all’uso del suolo, nei giorni della Cop26 come espresso dall’associazione della chiocciola “non ha centrato un approccio corretto sulla produzione agricola – sottoscrive Slow Food – parlare di agricoltura sostenibile senza considerare l’intero sistema alimentare non permette infatti di avere una visione complessiva e veritiera sui problemi. Le proposte emerse sembrerebbero andare in due direzioni diverse presentate come complementari: da un lato la riforestazione e dall’altro le nuove tecnologie in agricoltura. In realtà a essere riproposto è un vecchio modello, secondo il quale il cibo è considerato come un insieme di merci prodotte su larga scala, con monocolture assistite da tecnologie futuristiche che non faranno altro che far dipendere i contadini sempre di più dalle multinazionali e dai loro brevetti”.
La prospettiva del cibo sano, quello che i nostri nonni ci hanno insegnato ad amare e tutelare, coltivare e proteggere, dunque, sembra allontanarsi, in una visione forse troppo moderna, sino all’eccesso, di quella tecnologia, che non sempre è portatrice di benessere, inteso come essenza e autentica natura delle cose che si mettono a tavola e si utilizzano in cucina. “Per noi di Slow Food una transizione giusta – ha detto Marta Messa, direttore di Slow Food Europa – deve basarsi sulla biodiversità, l’agroecologia e la giustizia sociale e non sulle innovazioni tecnologiche proposte dalle grandi multinazionali, lontane dalle innovazioni reali che le comunità locali sviluppano. Il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità dovrebbero essere affrontati insieme, in quanto facce della stessa medaglia collegati dai medesimi problemi”.
Creare quanto si mangia in un conteso industriale, quindi, diventa solo un aggravio, ulteriore, al già martoriato ambiente. “La produzione industriale casearia e di carne – ha commentato infatti Shane Holland, Executive Chairman of Slow Food in the UK – è responsabile di una ampia parte delle emissioni, eppure importanti gruppi in questi giorni hanno proposto l’allevamento intensivo come la salvezza. Dall’altro lato abbiamo ascoltato anche la testimonianza di chi è convinto della necessità di aumentare la produzione agricola come riserva contro i raccolti scarsi. Questa visione è inaccettabile, specialmente se consideriamo che già oggi il 30% del cibo prodotto per il consumo umano è sprecato, e questo non fa altro che esacerbare la crisi climatica. Sembra che i governi non siano in grado di fuggire dall’influenza delle multinazionali e che siano incapaci di fare scelte davvero sostenibili, che esistono già ma che andrebbero promosse e supportate su larga scala”. La vera ricetta, dunque, per salvare il clima sono i cosiddetti sistemi alimentari agro-ecologici, e la soluzione in questo senso è tutta indirizzata verso il carbonio organico nel terreno. Il “manifesto” da portare avanti è biodiversità e fertilità del suolo e per dare una vita dignitosa agli agricoltori e diete sane per le persone.
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