Lettera aperta
Spett.le Redazione Riza Dimagrire
C.a. Direttore responsabile – Raffaele Morelli
Oggetto: contestazione servizio “Vuoi dimagrire? Mangia italiano!”
Caro Direttore,
Capisco perfettamente che siamo entrati nel periodo estivo e che in questa stagione le redazioni dei giornali si scatenano sul tema delle diete. Mi rendo anche conto della difficoltà dei capo redattori d’individuare sempre nuovi spunti per i loro giornali nel tentativo di essere originali ad ogni costo, ma il servizio da lei pubblicato sul numero di luglio della sua rivista “Vuoi dimagrire? Mangia italiano” proprio non l’ho digerito!
Nel servizio che porta la firma di Andrea Bonvini si legge:”Per gli esperti esagerare con alcuni cibi etnici fa male alla linea. Per dimagrire si alla cucina nostrana“. La prima contestazione che le rivolgo è proprio relativa all’uso generico e “colluttorio” che il suo collaboratore fa del termine “cucina etnica”. Il panorama delle cucine del mondo in alcune aree del nostro paese è oggi talmente variegato, che parlare in modo generico di cucina etnica non ha in realtà alcun significato, se non quello di inglobare sotto un’unica etichetta, spesso svalutante e stigmatizzante, tradizioni di popoli lontani e tipologie di locali assolutamente diversi gli uni dagli altri. Nel servizio in questione non si fa alcun accenno ai criteri di costruzione del campione della vostra ricerca, ma dal livello estremamente superficiale che emerge dell’analisi proposta non posso negare l’impressione che il tutto sia stato costruito in modo raffazzonato a tavolino con il solo scopo di rinforzare stereotipi degni della più provinciale delle riviste, che se non sconfinano nella pura xenofobia alimentare (mi perdoni il paragone con il motto del leghista Bossi: “Polenta si – Couscous No!) certo non brillano per apertura e acume intellettuale. Se da un lato troviamo locali-gastronomie e take away “low budget” che si rivolgono al popolo migrante delle nostre città con menù proposti a prezzi popolari in ambienti umili, nei quartieri a forte densità migratoria (centri storici e grandi stazioni) dall’altro si stanno moltiplicando i ristoranti di livello medio-alto che propongono cucina giapponese, indiana o arabo-medio orientale, realizzata con materie di primissima scelta lavorata da professionisti qualificati in locali che per standard qualitativo e ambiente, non hanno nulla da invidiare ai nostri locali italiani (per farsene un’idea la invito a leggersi la mia guida “Le cucine del mondo in Italia:i 100 migliori ristoranti” Ed. Domus, 2004). Il suo collaboratore, parlando (male) della cucina etnica in Italia fa più volte riferimento alla tradizione messicana, confondendola in modo imperdonabile la cucina tex mex, realizzata con i peggiori prodotti venduti in barattolo dalle catene multinazionali americane del fast food. Bonvini poi non spende una sola parola per sottolineare la leggerezza e salubrità di alcune specialità delle cucine orientali, tradizionalmente povere di grassi animali, come universalmente risaputo! Il problema vero non risiede nell’origine etnica o geografica degli alimenti, a meno che non si voglia tornare all’epoca delle Crociate quando i bambini che gustavano tutto il sapore del cibo, ciucciandosi le dita, venivano richiamati all’ordine con la frase rituale “mangia come un Cristiano!”. In tutte le tradizioni del mondo esistono cibi grassi e cibi leggeri. Pensa davvero che il lardo di Colonnata o una frittura mista italiana, sia più leggera di una Tempura vegetariana giapponese? Forse si dimentica che è proprio in Occidente dove si registrano i casi più frequenti di obesità e morte per malattie cardiovascolari, dove studi, ben più seri del vostro, dimostrano i danni irreparabili di una dieta ricca di zuccheri e grassi!
Per concludere, caro Direttore, mi auguro che quando vorrà parlare in modo compiuto delle culture alimentari degli altri popoli si sappia scegliere collaboratori più preparati in materia, onde evitare inutili quanto tendenziosi interventi “pseudo-nazionalisti” come quello pubblicato sulla sua rivista.
Grazie per l’attenzione
Vittorio Castellani aka Chef Kumalé giornalista “gastronomade” e food writer
Pubblichiamo volentieri questa lettera: forse la sparo un po’ grossa, ma io credo che all’origine della condivisione di guerre di aggressione come quella americana in Iraq ci sia anche una imponente sottovalutazione della diversità, e dunque della ricchezza, della società mondiale. Il desiderio di semplificare prepara l’arrivo degli ogm e del fast food. Mi chiedo poi a quale cucina italiana si possa fare riferimento visto che l’Italia, ed è questa la sua grande peculiarità, ha moltissime cucine di terroir dove spesso prevale il burro sull’olio di oliva come condimento, oppure la cultura della carne su quella vegetariana. Capite dunque come quando Berlusconi parli di superiorità di una civiltà sull’altra disvela solo e nient’altro di essere la punta dell’iceberg fatto di razzismo, ignoranza storica, semplicismo e forse più banalmente di improvvisazione (l.p.).
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