Uno de punti su cui si deve fare chiarezza riguarda il rapporto tra i due termini che aggettivano la pizza napoletana: contemporanea e tradizionale. Bisogna infatti sgombrare il campo dall’equazione, che in qualche modo è sottintesa anche se non dichiarata nella seconda puntata di Report, secondo cui tradizionale vuol dire arretratezza.
In realtà anche la pizza tradizionale è migliorata moltissimo negli ultimi anni, precisamente da quando nel 1994 Enzo Coccia per primo allungò i tempi di maturazione dell’impasto portandolo dalle tradizionali otto ore a 24 ore minimo. Diciamo che la distinzione è soprattutto generazionale, perché i giovani che si sono affacciati a questo mestiere senza avere un lunga tradizionale familiare alle spalle hanno voluto caratterizzarsi con il pronunciamento del cornicione e con un disco un po’ più piccolo della ruota di carro.
Ma a ben vedere il dischetto un po’ più piccolo e il cornicione erano già presenti nella proposta delle pizzerie a Chiaia e del Vomero. Al tempo stesso spingere sull’idratazione dell’impasto per rendere la pizza più leggera e digeribile è Ciro Salvo, che propone nel piatto una classica ruota di carretta. Ciro Salvo è allora tradizionalista o contemporaneo? Insomma, come ha osservato Nathan Myhrvold, autore di una vera e propria Bibbia della pizza mondiale, la regola della pizza è che non esiste alcuna regola e ognuno fa un po’ come gli pare.
Ma allora cosa ci fa dire che una pizza è napoletana?
L’anima della pizza di stile napoletano, con il cornicione più o meno pronunciato poco importa, è l’assoluta fusione tra il pomodoro, l’olio, il fior di latte e l’impasto. Una fusione che quasi non distingue le diverse componenti. E questo ce ne accorgiamo dal profumo, perchè l’odore della pizza non è quello del pane e viceversa. Il secondo elemento è tattile, la pizza napoletana proprio grazie all’alta idratazione e alla cottura veloce, trattiene l’umidità e si presenta morbida, scioglievole, facile da piegare a libretto o a portafoglio che dir si voglia.
E’ vero che le diatribe sono il sale del miglioramento di qualsiasi cosa, ma ad un certo punto è necessaria una sintesi, diventa indispensabile elaborare una memoria e una intelligenza collettiva che non faccia perdere di vista la direzione in cui si sta andando. Ecco perché lanciarsi accuse reciproche di avvelenamento non serve proprio a niente e contribuisce inutilmente ad esacerbare gli animi. Una intelligenza collettiva non farebbe una fatwa contro i canotti, ma li assorbirebbe come una legittima deviazione dell’ortodossia che alla fine per quanto buona, finisce inevitabilmente per stancare il pubblico. Si trovi allora un minimo comune denominatore e si proecda lungo la via maestra che ha fatto grande mondo la pizza napoletana.
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