Il nostro articolo di ieri sugli investitori in pizzeria è stato molto seguito e ha fatto discutere. Strano a volte come nascano le idee. Quell’articolo è nato in realtà da una chiacchierata con Simone Padoan, dunque un pizzaiolo totalmente estraneo all’ambiente napoletano, che mi raccontava delle innumerevoli proposte che aveva avuto per aprire a Milano. La sua risposta è sempre stata no in base a questo ragionamento: faccio un lavoro artigiano che difficlmente può essere replicato e dopo 20 anni non posso sputtanare quello che ho fatto qui in provincia di Verona.
I teorici dei grandi numeri ci diranno che non è questo il futuro. Ma non è questo il punto: dalla discussione su Facebook, densa ma pacata una volta tanto, sono emersi due interventi che ci hanno colpito che partono da una osservazione di Francesco Salvo. Uno di Alessandro Condurro (Da Michele a Napoli) e la replica di Rosario Procino (La Ribalta a New York). Siccome, ciascuno per proprio luogo di riferimento geografico completano il ragionamento, li vogliamo rilanciare anche qui.
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Francesco Salvo
Il problema è ANCHE di inesperienza di entrambe le parti, l’imprenditore (sano e onesto ma prestato al food) e il pizzaiolo pizzaiolo (alla sua prima esperienza imprenditoriale).
Difatti, il pizzaiolo che NASCE IMPRENDITORE sa quanto è complicato non solo fare un buon impasto, ma anche e soprattutto portare avanti un’azienda oggi in Italia. Le voci di costo, sembra paradossale ma se volete su questo ci confrontiamo pure, assottigliano di molto i ricavi. Si cammina lungo una linea sottile, bisogna fare sì qualità ma anche numeri ed avere polso fermo, perché altrimenti si deraglia molto facilmente. L’Italia oggi è questa, non sto inventando nulla. Nel caso specifico, quindi, ci si trova molte volte di fronte a persone che sottovalutano, con colpevole superficialità, questo aspetto. Il pizzaiolo, ignaro, si aspetta i numeri A, l’imprenditore i numeri B, alla fine escono invece i numeri C e…… Si scassano le giarrette.
Alessandro Condurro
Francesco…siamo pieni di queste cialtronerie…basta fare i fenomeni…quanti ne vuoi?? In tre anni cambiano tre pizzerie…”la mia nuova…la mia nuova…le nostre strade si dividono…” Invece di “new age”
chiamiamoli con il loro nome…”dipendenti”…Che poi non c’è niente di male… una cosa di soldi…una bella comunicazione…”la mia nuova pizzeria” …”la mia squadra”…”che emozione”… magari invece dello stipendio ti danno il 10% della società….grandissima presa per il culo, perchè sei un dipendente senza i privilegi di un dipendente…poi cominciano le gelosie…la gente che identifica il locale con quello che a tutti gli effetti è un tuo dipendente ed a te che hai cacciato i soldi questa cosa comincia a non andare giù…il fenomeno di turno che ti presenta come “il mio socio”….socio??? Io ho cacciato tutti i soldi!!!!
Rosario Procino
Alessandro Condurro il tuo discorso non fa una piega, ma semplicemente perché in Italia non si pensa da investitori, ma ancora da padre/padrone. Io metto i soldi, il locale è mio e tu lavori per me. Purtroppo o per fortuna, in Italia è così.
Io, come ben sai, vivo una realtà completamente diversa a New York. Dove anche l’impiegato comunale è culturalmente abituato ad investire, anche se siano solo 1000 dollari in borsa. Dove davvero chi ha soldi decide che potrebbe essere meglio investire in un’attività piuttosto che tenere i soldi in banca.
Certo non mancano anche qui i problemi e le incomprensioni, ma qui non va come in Italia.
Spesso mi capitano “imprenditori” italiani che visto il nostro successo vengono qui e vogliono investire. Dicono tutti così:”Ok ci vuole un milione? Tu metti 500 mila e io metto 500 mila. Tu porti l’idea, il know-how, l’esperienza e il lavoro e siamo soci al 50%. Ah, ma perché vuoi pure lo stipendio per lavorarci? Ah, poi ascolta, ho mio figlio che vuole farsi un esperienza a NY, nun ten vogl e fa niente (non ha voglia di fare nulla-ndr). Lo mettiamo a fare il manager?”
Tutti con la stessa canzone.
Qui invece l’imprenditore, o l’entrepeneur come si suol dire, mette su un business plan, porta sul piatto un concetto, un’esperienza, un’idea e la presenta ad investitori. Più sei bravo, più hai esperienza e più ti riesce di aprire un locale senza investire e mantenendo il 50-60% della proprieta’.
Qui l’investitore è contento di investire la sua cifra, recuperarla secondo un piano di rientro che gli ha prospettato con un certo tasso di interesse e poi resta in società con percentuali piccole.
Questo è l’investitore non quello della serie “o pallone e’ o mio e gioco solo io”
E’ logico che cmq prima di aver accesso ad investitori di questo tipo devi aver provato qualcosa. Devi avere un nome, un esperienza, voglia di lavorare e tutto il resto.
L’investitore come dice Luciano Pignataro non e’ fesso. Il vero investitore guarda i numeri e solo i numeri, poi lascia scegliere a te il colore del piatto o cosa servire, e difficilmente ti chiederà di mettere il figlio nullafacente a lavorare …
In Italia dobbiamo ancora maturare per fare dei discorsi in modo serio.
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CONCLUSIONI PROVVISORIE
Il fenomeno Pizza è ancora in piena espansione e darà molto da scrivere. Un cibo povero nato dalla privazione e dal sovraffollamento è diventato in pochi anni riferimento per chi vuole guadagnare, avere successo e diventare famoso. Incredibile ma vero. Tutto questo in un paese arretrato come l’Italia dove, appunto, pochi hanno vera cultura di impresa moderna. Vedremo come andrà a finire.
Una cosa è certa: non è tutto oro quello che luccica e ci stiamo avvicinando pericolosamente al punto in cui l’offerta inizia a superare la domanda…..
Resisterà chi ha la testa sulle spalle, vedrete.
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