Le foto sono di Monica Piscitelli
Contrada Piantoli
Tel. 339.5928649
Stanze: quattro
Ettari: 40 di proprietà
Allevamento: capponi, maiale nero casertano, vacche marchigiane, animali di bassa corte
Agricoltura: vite (aglianicone, primitivo di Conca), olivo, ortaggi, frutta
Prodotti: selezioni di formaggi, salumi, conserve
Adoro i ristoratori che ti fissano con sguardo vuoto e canzonatorio quando gli chiedi “che si mangia?”. O peggio ancora “ha un menù?”.
Quando Berardino Lombardo, occhi da husky siberiano e barba da lupo dell’Appennino, a questa domanda, ti guarda dritto in faccia e ti risponde “me la vedo io”, la sensazione è quella di sprofondare nella seggiola di legno come in una di quelle poltrone di fracchiana memoria. Una indiscrezione? Una mezza idea? Nulla. Chi non si adegua sa dove sta la porta.
Come al dentista non si chiede come asporterà quel dente là, o al chirurgo estetico come farà a tirar su quel seno lì, cosi’ si deve lasciare che lo chef operi in cucina senza avere “impazienti” tra i piedi.
A Terre di Conca la campagna è terapia. Non c’è da aspettarsi grandi salamelecchi e riverenze, ma un’intensa, perfino ruvida, ma decisamente tonificante esperienza.
Perché non affidarsi, poi? Non c’è davvero bisogno di preoccuparsi di nulla, solo da ammirare i gatti in giardino che sonnecchiano, il panorama a 360 gradi sulla campagna circostante, i castagni, la piscina, i fichi d’india maturi, gli uliveti, gli alberi da frutta, le stanze e i saloni della struttura in pietra viva elegantemente arredata in stile toscano.
Lombardo è chirurgico e rilassato in cucina e garbato ai tavoli, ma affida ai piatti piu’ che alle parole il discorso tra l’oste, l’ospite e il cibo.
Mentre lui, dalla sua cucina attrezzata all’aperto, appronta gli ultimi dettagli, non si può fare a meno di lanciare un’occhiata su tegami, pentolini e pentoloni ribollenti, colmi di ogni creazione della campagna. Nessun capriccio da chef, dunque, il riserbo iniziale. Chi è stato almeno una volta da Lombardo sa bene che in fondo, è questo il gran mistero del suo menù: la stagione, la terra e due certi fattori “P”, che, messili giù dal letto dal lato giusto, ti portano in campagna a “far compere”. Libertà, lo avrete capito, è la parola d’ordine in questi 40 ettari a un passo dal confine con il Lazio, la stessa libertà che ha portato Lombardo e sua moglie Antonietta, circa cinque anni fa, a preferire la terra di Conca al successo del loro Caveja a Pietravairano.
Il maialino nero casertano e la frittata di zucchine: due must di Berardino
La specialità dell’agriturismo sono le verdure e le carni proprie, o di provenienza locale. Le prime, Lombardo le combina insieme secondo tradizione e estro tutto suo. Il colpo d‘occhio è assicurato: patate e peperoni; scarole e fagioli; patate, verza e salsiccia; insalata di rinforzo (nella versione estiva e natalizia, con il cavolo); pizza rustica con melanzane; zuppa di legumi e melanzane alla poverella. Ma c’è anche la panzanella fatta con pane, pomodori, sedano; il pane ammollato e saltato con i broccoli; il prosciutto e la stringata di maiale nero casertano, la polenta al sugo con salsicce, cotica di maiale e pecorino, pasta e ceci con l’aglio sfritto e un succulento e tenero arrosto di maiale che Lombardo insaporisce con peperoncino, rosmarino, finocchietto e aglio.
Completa”la terapia”, il vino. Di aziende del territorio e non solo. Da cultore del vino di qualità, Lombardo non si fa scappare l’occasione di stappare con i suoi ospiti più affezionati alcune delle migliori bottiglie della sua cantina ben fornita. E’ per sempre scolpito nella mia memoria un Barbaresco Bricco Asili 1985 che con alcune altre bottiglie ho avuto il piacere di consumare alla tavolata notturna di chiusura delle finali campane della Guida dei Vini Buoni d’Italia di due estati fa.
Monica Piscitelli
Scheda del 2 giugno 2007. Oggi taglio il traguardo dei 50 anni e vi regalo una di quelle schede da tenere segrete e non rivelare a nessuno, se non agli amici capaci di raggiungere il giusto equilibrio psicopapilloso. Come quello realizzato nel cuore di Berardino Lombardo che da chef antropologo è diventato agricoltore e allevatore: con la moglie Antonietta ha realizzato questo agriturismo mozzafiato tra i castagneti del vulcano spento di Rocccamonfina dove nascono la Ferrarelle e la Lete, proprio ai confini tra il Lazio e la Campania. Insieme fondarono la Caveja a Pietravairano adottando una formula semplice e tosta. In quella ex stalla ristrutturata in pietra e legno si mangiavano i piatti classici della tradizione contadina ricostruiti filologicamente, fantastico il pomodorino arrecanato, condito con briciole di pane, olio, e origano, una vera ricetta salvavita. Un po’ come Alfonso, il carattere introverso è lo stesso, gli interessi di Berardino sono scivolati progressivamente dalla cucina all’agricoltura, dai piatti ai prodotti, l’ossessione della materia prima nasce dagli scontri con i fornitori e dal rifiuto del comodo franchaising in cui spesso la tipicità del territorio è sacrificata alla qualità dell’offerta.
Così, nel corso degli anni, Berardino e la moglie Antonietta hanno acquistato quaranta ettari di terra fertile sabbiosa e nera e, lento pede, si sono trasferiti su in montagna lasciando definitivamente la Caveja nel 2004. Una rottura che è stata una sorta di liberazione dai punteggi e dal circo mediatico, il ritrovarsi una azienda agricola dove lavorare mele annurche, pere, aglianicone (qui chiamato uva da scasso) e primitivo di Conca, maialino nero casertano, vacche marchigiane, una decina di ettari di bosco. Una piscina, un patìo per mangiare all’aperto sono le uniche concessioni modernizzanti, poi l’accettazione di gruppi solo per prenotazione, possibilmente di gente conosciuta o presentata da amici secondo l’antica regola del passa parola che in campagna ha sempre funzionato molto bene prima dell’arrivo delle guide specializzate. Ma l’equilibrio interiore in realtà oltre che dalla campagna coltivata come un giardino è dato dalla struttura, semplici mattoni in tufo e legno, arredata con gusto e stile, arricchita da mobili antichi e imponenti, un camino dalle dimensioni medioevali, quattro stanze e salone arredati in ogni particolare come solo la mano femminile è capace, le collezioni di merletti e pizzi esposte alla curiosità, la cucina ben attrezzata, una piccola bottiglieria all’ingresso dove sono esposti anche alcuni prodotti, niente tv per evitare di produrre immondizia nella testa, il plastico silenzio delle montagne da cornice. Qui fanno base Fabio Rizzari e Giampaolo Gravina quando devono degustare per l’Espresso in Campania, è la sosta preferita di Luigi Cremona e Lorenza Vitale, anche Daniel Thomases trascinato da Teodoro Naddeo ritrova gusto in questo posto.
A questo punto parlare dei piatti può sembrare risibile, si mangia quello che prima si cucinava nelle case e che è diventato molto raro: olte i pomodorini citati, una fresca insalata di carote e peperoni, la pizza rustica con i fiorilli (fiori di zucca), la parmigiana di melanzane assolutamente dolce, le mafalde con caciocavallo e melenzane tanto per fare la citazione del giorno, ma è uno dei 365 episodi in onda nel corso di un anno. Si viene qui si può lavorare la terra o fare corsi di cucina ritemprandosi secondo una formula di ospitalità rurale ormai diffusa ma rara da trovare a questo livello di perfezione tecnica. Per chi arriva dal Nord, è il primo squillo della rivoluzione campana di questi ultimi quindici anni, uno spiazzamento totale dei luoghi comuni, la rivelazione immediata della biodiversità e soprattutto della forza imponente dei sapori della tradizione agricola del territorio italiano più forte per composizione del terreno, clima e storia. Non a caso qui è nata la cucina italiana.
Anche se la visita a Berardino, occhi azzurri verdi sanniti come i Longobardi da cui ha preso il cognome, spinge ad una riflessione obbligata ai giovani impegnati nei ristoranti: ragazzi, più tradizione se volete davvero stupire, prendete esempio dalla banda di Cetara dove la rivisitazione riguarda soprattutto la presentazione e la ricerca più che i barocchismi, oppure dall’Oasis dove le ricette sono per certi versi filologiche. In giro ci sono troppo risotti per i miei gusti, andateli a fare al Nord, qui il riso significa solo sartù e arancini, stop. Altrimenti capita che nessuno si ricorda più i vostri piatti cinque minuti dopo aver lasciato il ristorante mentre i pomodorini di Berardino, come il Vesuvio di Alfonso o la genovese di tonno, uno se li ricorda tutta la vita. Ma forse solo chi conosce davvero i prodotti non riesce a tradirli. Scuola di cucina a Conca, mezzo secolo centrato.
Uscire a Caianello, seguire la Casilina in direzione Roma per otto chilometri, deviare a sinistra per Conca della Campania e salire fino alla frazione Piantoli. Appena vedete la natura segnata dalla mano illuminista, siete arrivati
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