Il termine salume, oggi usato per definire un prodotto alimentare derivato da carne salata, soprattutto di maiale, proviene dal tardo latino “salumen” che letteralmente significa prodotto conservato sotto sale, e perciò anche pesce (aringhe, baccalà ecc.) e carne non suina (bresaola, violino di capra, ecc.). La tecnica di conservazione dei cibi mediante salagione, praticata fin dall’epoca romana, nasce quindi dall’esigenza di preservarli dalla marcescenza. Per l’ecomonia della famiglia, infatti, era impossibile consumare tutta la carne ottenuta con l’uccisione del maiale, in pochi giorni. Si pensò allora di salarne alcuni pezzi e di insaccarne altri. Nacque così l’idea dei salumi prima (prosciutti, capicolli e pancette) e degli insaccati poi .
Soppressate, salami, salsicce e cotechini nascono, perciò, dall’esigenza di compattare in pezzi più grandi pezzettini di carne che si originavano dalla scarnificazione delle ossa e dalla rifilatura dei pezzi grandi da sottoporre a salatura , e quindi l’insaccatura in budelli ricavati dagli stessi suini .
Ogni pezzo ha i suoi tempi di salagione. Quindi il prosciutto deve stazionare sotto sale un giorno al chilo ( per un prosciutto di 30 kg. ci vogliono 30gg.di salatura), i capicolli dalle trentasei alle quarantottore (dodici ore a kg.), i guanciali (vucculari) dodici o quindici giorni (1 settimana a kg), le pancette sei/ott ore al kg .
Ma veniamo agli insaccati, durante la scarnificazione (sfasciatura) si procede direttamente alla selezione delle carni in tre tipologie diverse : in un recipiente si sistema esclusivamente la carne derivante dalla scarnificazione del prosciutto e del carrè, ed è quella destinata alla realizzazione delle soppressate.
In un altro quella derivante dalla spalla, dalla copertina di costata e qualche altro pezzo magro, ma magari nervoso, e questa è la selezione per le salsicce. In un altro ancora tutta la carne derivante dalla scarnificazione della testa, la lingua, alcuni pezzi con evidenti residui ematici e, dopo averli sbollentati, lo stomaco e le cotenne, e questo per fare i cotechini.
Si procede quindi alla trafilatura e a seconda della tipologia di insaccato si sceglie la trafila giusta.
Per le soppressate si usa una trafila più grande per dare l’effetto “punta di coltello”(tagliata grossolana, cubetti di circa 1cm di lato), per salsicce e cotechini invece, la più piccola, che riduce la carne in pezzettini grandi come quelli per le polpette.
Fatto ciò, si procede alla pesatura della carne per calcolare la quantità degli elementi di concia (sale, pepe, vino ed aromi) occorrenti, ma soprattutto è importantissimo il quantitativo di sale che si aggiunge alla carne : per le soppressate si usano due valori a seconda delle temperature, il 28% se il tempo è asciutto e rigido, il 30% se è umido e temperato.
Per le salsicce e per i cotechini invece, se devono essere consumate fresche, si usa il rapporto 18-20 %, se devono stagionare, il 24-26% . Per quanto riguarda il vino si usa addizionarne dal due al quattro per cento, a seconda del tipo di allevamento (vedi qui), della pezzatura dell’animale e quindi della consistenza delle carni. Per le spezie e gli aromi, il quantitativo è ” a piacere”, frutto dell’esperienza ” r’o mast’ “(del maestro norcino).
Per quanto riguarda le differenti tipologie, nelle soppressate si usa solo pepe a grani, nelle salsicce solo pepe macinato, nei cotechini invece, pepe macinato, peperoncino piccante, aglio e finocchietto(sia chiaro, questa è la versione più o meno predominante, poi ce ne sono tantissime altre!).
Conciata la carne, si procede all’impasto, nel senso che essa va lavorata proprio come si fa con l’impasto del pane, girandola e rigirandola a far si che gli ingredienti aggiunti si distribuiscano uniformemente e l’aggiunta del vino, oltre all’arricchimento con i suoi aromi, svolge anche la funzione fisica di ammorbidire l’impasto e renderlo così più facilmente lavorabile.
Dopo una decina di minuti di lavorazione, con il pretesto di testarne la sapidità, in realtà per la fregola di degustare il prodotto, si prelevano alcune pizzicate d’impasto e si assaggia così com’è, cruda. Quasi sempre è più che buona, e quindi si procede all’insaccatura.
La macchina insaccatrice, è sostanzialmente un cilindro alla cui estremità è avvitato un imbuto sul quale viene avvolto il budello. All’altra estremità c’è uno stantuffo che attraverso l’azione di una manovella, spinge la carne dell’impasto verso l’imbuto che la incanala nel budello.
Pronta sul lato opposto del tavolo c’è un altra persona, quasi sempre di famiglia, che provvede alla legatura ed alla pungitura (operazione indispensabile per la sgrondatura degli insaccati), sia delle soppressate che delle salsicce e dei cotechini.
Ultima operazione è l’appenditura in un luogo assolutamente privo di correnti d’aria e con una temperatura non al di sotto dei 14-15°, per il raggiungimento della quale, si usa fare un pò di fuoco in un braciere che svolge anche l’altra funzione di dare l’affumicatura.