Come si fa la scapece? La ricetta?
Ormai bisogna avere più di 80 anni per ricordare la cucina prima dell’avvento del frigorifero nelle case: la catena del freddo ci ha portato indubbiamente tanti vantaggi e soprattutto molta sicurezza, ma ci fa perdere sempre di più il rapporto con il cibo, con i prodotti. Piano piano le ricette della nonna trasferite alle mamme dei baby boomers si sono semplificate, impoverite, sono radicalmente cambiate le abitudini e, senza rendercene conto, sono aumentati i costi e incontrato altri rischi, quelli subdoli prodotti da grassi idrogenati, conservanti e coloranti, per non parlare del cibo conservato nella plastica.
Per capire la cultura delle conserve, dei sottoli, degli insaccati, dei formaggi, della essiccazione, dobbiamo andare appunto con la mente all’epoca in cui il problema principale era come conservare il cibo.
E la marinatura alla scapece, sicuramente ereditata dai romani che facevano abbondante uso di aceto per conservare e cucinare i cibi, è una di quelle arti che sempre meno ritroviamo. A Napoli la troviamo in alcune trattorie, ma il più delle volte si tratta di zucchine fritte e condite con aceto, mentre la tecnica di preparazione è assolutamente diversa. Zucchine, melanzane e alici, ma anche altre varietà di piccoli pesci, sembrano vocati alla scapece.
Ma, un momento, da dove viene il termine che, tanto per cambiare, nasce proprio a Napoli. I più dotti fanno risalire il termine scapece da ex Apicio, con riferimento al presunto inventore, o comunque divulgatore, di questa tecnica. In realtà sicuramente deriva dallo spagnolo escabeche, riferito sia alla conservazione che alla marinatura dopo la frittura in olio d’oliva dei cibi. Una tecnica di origine araba assorbito dalla tradizione ispanica: secondo il Dizionario Etimologico di Pascual Corominas, proviene dall’arabo sikbâg, che si riferisce ad un sugo di carne con aceto ed altri ingredienti, piatto tipico della Persia, che appare già nel libro Le mille e una notte.
La pronuncia volgare di sikbâg suona come iskebech, da cui escabeche o escabetx in catalano. La forma castigliana escabeche appare scritta per la prima volta nel 1525, nel Libro de los Guisados di Ruperto de Nola, edito a Toledo. Quasi ogni regione del Centro Sud, oltre la Liguria, ha un piatto che si può far risalire alla scapece.
Oggi questa preprazione è stata ripresa anche da qualche cuoco e introdotta nell’alta ristorazione.
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