Fateci caso: è sempre più difficile trovare cuochi o proprietari di locali che capiscono di vino. Eppure tutti dovrebbero fare un corso di sommelier.
Tutto il contrario dei vecchi osti che, come i medici di una volta, avevano una visione d’insieme della propria attività. L’impronta umanistica, che tende a considerare l’insieme e non solo l’aspetto specialistico, si sta progressivamente perdendo anche in gastronomia e così capita che nella stessa attività lavorino cuochi che non sanno di vino e sommelier che poco sanno di cucina. In teoria queste due specialità dovrebbe integrarsi ma non sempre è così. Lo stesso sta accadendo nelle pizzerie, dove non è molto chiaro come muoversi e pochi hanno dato una bella impronta alla propria attività. Fare una carta dei vini è invece importante perché rientra nel conto finale e almeno una volta su 17 è il vino la motivazione che spinge il cliente ad entrare in un posto. E se non siete appassionati e il mondo del vino vi sembra ermetico? Il nostro consiglio è unico: affidatevi a uno specialista, un sommelier e non ai rivenditori che vi imporranno le loro etichette e che tenderanno ad uniforare la vostra carta a quella degli altri clienti. Ma una volta affidato l’incarico ad uno specialista non rinunciate a discutere le sue scelte per due motivi: anche i sommelier hanno le loro simpatie e spesso partono dai propri gusti e non dalle esigenze del locale. La giusta carta dei vini, come quella delle materie prime, nasce dal confronto come del resto succede anche quando andate da altri specialisti come medici, avvocati, architetti.
IL WINE BAR-ENOTECA
Un tempo nelle grandi città erano i luoghi dove si assaggiavano le novità di ogni genere, adesso non è più così. Oggi si distinguono quelli che hanno una idea di vino, che si dichiarano appartenenti ad una delle tribù nate dalla implosione della critica in internet. A questo proposito c’è il diffondersi della moda dei vini della Savoia oltre che dello Jura: più economici e easy della Borgogna. In provincia sopravvive qualche punto anni ’90, ma in quel caso è chiaro che il proprietario capisce poco o non ha radici con il territorio in cui opera e dipende dai distributori o dai rappresentanti (o fa il rappresentante a sua volta). E’ invece bello in questi posti scoprire in primo luogo i vini del proprio territorio e della propria regione, soprattutto se siamo in Piemonte, Toscana, Sicilia, Puglia e Veneto che trascinano tutto il vino italiano.
LA TRATTORIA OSTERIA
Qui possiamo distinguere due tipi. Quelli che completano la proposta con la lista dei vini e quelli invece che puntano su un’ampia scelta di etichette che a loro volta si distinguono in quanti hanno la capacità di esprimere il proprio territorio in profondità e quanti hanno invece anche referenze extraregionali. In linea di massima l’osteria e la trattoria può accontentarsi di poche referenze che abbiano anzitutto radici territoriali e regionali adeguate allo stile della propria cucina, bianco su bianco e rosso su rosso. Il primo abbinamento è sempre di colore con le dovute eccezioni ovviamente. In trattoria voglio trovare chicche di territorio il cui costo non superi di molto il piatto e questo è possibile ovunque in Italia.
PIZZERIA E PANINOTECA
Qui il discorso è ampio e diverso. Ci sono pizzerie come quelle dei fratelli Salvo a San Giorgio a Cremano o paninoyteche come Gigione a Pomigliano d’Arco che puntano sempre di più sui vini anche al calice e che sono molto ben impostate perché partono dalla propria regione e offrono uno spaccato di curiosità nazionale e internazionali. La maggior parte compra i vini orecchiando mentre dovrebbe concentrarsi sul bicchiere così come si punta alla materia prima di qualità. Nella maggior parte delle pizzeire non sono necessarie troppe referenze, e neanche molto costose perché siamo in un luogo pop. Forse è proprio qui che deve prevalere la bussola territoriale senza se e senza ma anche se non è escluso che anche la pizzeria nell’evoluzione del tempo diventi un luogo dove trovare grandi bottiglie.
RISTORANTE
Qui la carta dei vini è obbligatoria e deve sempre partire dalla prorpria regione (meglio provincia) per poi allargarsi all’Italia, alla Francia e al resto del mondo. Ultimamente in molti ristoranti si registra una deriva un po’ estremista dovuta ai sommelier che gestiscono gli acquisti che non è sbagliata in linea di principio ma che deve dare la possibilità al cliente di scegliere anche referenze tradizionali di tipo tradizionale e convenzionale. Per essere chiari: escludere il Tignanello da un carta di un locale importante vuol dire fare un discorso estremista, avere solo il Tignanello significa aver fermato il mondo a quindici anni fa. Discorso a parte sulle bollicine: certamente Prosecco, Champagne, Trento e Franciacorta. Ma ormai in tutte le regioni si spumantizza ed è carino avere almeno una o due referenze territoriali come alternativa nel benvenuto. E’ ovvio che molto dipende dove sta il ristorante: in un luogo turistico come la Penisola Sorrentina è indispensabili avere referenze in profondità di tutta l’Italia e della Francia perché per un Brasiliano o un Cinese, ma anche per un americano, non esiste la nostra percezione regionale e anche nazionale.
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