Vi siete mai chiesti come mai i giovani chef amano presentare risotti e non un piatto di pasta per dimostrare quanto valgono? E come mai durante le collettive la pasta secca faccia raramente la sua apparizione anche in regioni come la Campania, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e il Lazio?
Le risposte sono due: la prima è che all’Alma e a Pollenzo, le nostre scuole più qualificate di formazione, non insegnano a cucinare la pasta e insistono molto di più sul riso! La seconda è che, a ben vedere, neanche i grandi cuochi stellati la sanno fare bene ed è curioso osservare come tra gli otto tristellati il migliore in questo sia Heinz Beck, ossia un non italiano:-)
Eppure un cuoco che non usa la pasta è come un uomo che entra nella propria stanza d’albergo, trova un bella donna che l’aspetta e richiude la porta chiedendo scusa per il distrubo.
La pasta, come la pizza, sono due parole italiane non tradotte in tutto il mondo. Ed è espressione della cultura mediterranea del grano duro. Per cucinarla ci vuole sensibilità e attenzione estrema perché cambia in continuazione.
Ecco perché vorrei segnalare quelli che secondo me sono maestri nel farla e la propogono con orgoglio.
Ernesto Iaccarino del Don Alfonso
No vabbè, ma quando penso alla pasta al ristorante la prima cosa che viene in mente è il Don Alfonso. Qui Ernesto lancia dalla cucina due o tre creazioni l’anno sempre più buone e intriganti. E il papà Alfonso è stato il primo tristellato ad esibirla con orgoglio insieme all’olio d’oliva e al pomodoro anticipando di vent’anni i temi di oggi.
Il primo cuoco campano che ha ripensato la pasta in modo facilmente leggibile fuori dalla Campania. La sua pasta e patate è sicuramente tra i primi piatti degli ultimi dieci anni più intimamente legati alla tradizione e più creativi.
Francesco Sposito di Taverna Estia
Francesco è in forma. Il suo spaghetto all’anguilla laccata è primo il più buono degli ultimi mesi. Andare in Francia per lui è stato un mezzo per ricaricare le batterie della tradizione ed esibirla con orgoglio, sapore e capacità.
Gennaro Esposito della Torre del Saracino
Suo uno dei piatti capolavoro di sempre, la minestra di pasta mischiata e di pesce, un equilibrio stratosferico tra amido, carboidrati e mare saporito. Il primo anche a capire che era necessario riproporre ad alto livello gli spaghetti al pomodoro ormai quai spariti dalla ristorazione pubblica.
Mestiere e sensibilità. Peppe Guida esibisce una seconda giovinezza planando sulla semplicità ripulita. Le sue jam session con i giovani ristoratori al Pastificio dei Campi sono ormai leggenda, con tre ingredienti costruisce piatti perfettamente al dente come pochissimi sanno davvero fare. Piatti di pancia che riscaldano il cuore.
Se Peppe è mestiere, Marianna Vitale è istinto vulcanico. Il meglio lo esprime con le paste lunghe in accoppiamenti con il mare funambolici e tutti giocati sull’acidità. La pasta da materia antica diventa tapis roulant di modernità e velocità giovanile.
Cristian Torsiello dell’Arbustico
Gli spaghetti alla cima di rapa rivelano la scuola di Gennaro e la sensibilità sulla materia acquisita con Niko Romito. Nei suoi menu la pasta secca non manca mani nonostante venga da un territorio dell’interno dove questa tradizione è arrivata tardi.
Luca è un piccolo grande cuoco destinato a diventare famoso se riuscirà a completare la formazione in Francia. Intanto qui la pasta si mangia eccome,insieme all’orto e al mare. Perfetta.
A Roma è un cult per gli amanti della pasta cotta al dente, anzi, come dice lui, al chiodo. Ed è così che le sue ricette classiche e moderne sono sempre una meraviglia di sapore e di pulizia. Imperdibile.
Spesso cerebrale, Cristina con la pasta è invece istintiva e la tratta, da buona meridionale, come qualcosa che deve appagare e consolare. Poi il mestiere di cuoca fa si che i suoi piatti non diventino stancanti e si coniughinio alla leggerezza moderna.
Genio e sregolatezza lontano dai fornelli, metodico e creativo quando ha le pentole in mano. Il connubio con Felicetti lo ha maturato con questa materia prima poco frequentata dandogli l’ispirazione per bellissime creazioni.
Antonino Cannavacciuolo di Villa Crespi
Amen
Di nuovo amen.
Francesco Apreda dell’Imago del Hassler
Gli spaghetti e la pasta di quando avremo tutti gli occhi a mandorla? Probabilmente si perchè il cuoco napoletano ha molto assorbito il tema delle spezie e dei sapori asiatici e i suoi piatti non sono mai banali e scontati.
Ecco un posto dove la pasta si può mangiare tranquilli a Milano con idee moderne e innovative. Gioca l’origine napoletana, ma anche l’esperienza londinese e questa nel cuore cittadino.
Agostino Iacobucci a I Portici
Nella capitale della pasta fresca un approdo sicuro per trovare quella secca ben fatta con il cuore e che non può stancare. Agostino si è ben integrato, fa lasagne e tortellini, ma quando provate la sua pasta secca vi arricreate (rinascete).
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Non è facile cucinare la pasta, ma quali sono le difficoltà maggiori? Primo capire il punto di cottura che è sempre differente da quello indicato sui pacchi, parlo anche di quella industriale. Secondo intuire il formato per la ricetta giusta, ossia il rapporto tra quantità di pasta e condimento. Una cosa che chi è di Napoli conosce d’istinto perché la selezione è avvenuta nel corso di oltre un secolo. Nessuno farebbe mai uno spaghettino al ragù perché la superfice deve essere in armonia con l’intensità del sugo. Sembra facile, ma è molto difficile.
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