di Sara Cordara*
Odiati, ripugnati e a volte anche disgustati, i cibi in scatola saranno anche tutto questo ma non si discute sul fatto che non siano comodi e versatili. Alzi la mano chi di voi rincasando e trovando il frigo una desolazione, non si è mai salvato dalla fame grazie ad una scatoletta di tonno. Il problema di sottofondo è però un altro, quale tonno in scatola preferire per un acquisto sano e consapevole?
Curiosando in diversi supermercati ho analizzato in lungo e in largo decine di confezioni di tonno in scatola di marche differenti, mettendo duramente alla prova il mio ingegno per risolvere una sorta di rompicapo riguardo l’etichettatura.
Forse era davvero meglio quando si stava peggio e quando sugli scaffali dei supermercati c’era un solo prodotto e quello si doveva acquistare, senza dubbi, ripensamenti e soprattutto senza perdere ore a individuare il prodotto migliore.
Entriamo nel vivo, l’Italia si classifica tra i più importanti mercati mondiali per il tonno in scatola e il secondo più grande produttore in Europa. Ma il consumatore sa cosa esattamente nasconde una scatoletta di tonno?
Secondo il regolamento (CE) 1536/92 le conserve ittiche possono essere vendute con la scritta “tonno” o “conserva di tonno” solo se contengono le specie classiche del genere Thunnus quali: Obesus o tonno obeso, Thynnus o tonno rosso, Alalunga, simile a quello rosso ma di dimensioni inferiori, Albacares o tonno a pinne gialle, ma anche del genere Katsuwonus pelamis.
Il consumatore, quindi, non ha modo di sapere quale sia la specie di tonno che acquista, a patto che l’azienda non lo specifichi, cosa molto gradita ovviamente, ma alcune non la menzionano. Non è neppure obbligatorio indicare se il tonno in scatola proviene da pesce lavorato fresco o congelato, è scontato il fatto che lavorato fresco risulta più gradevole al palato a quello congelato.
Un’altra discriminante è l’olio di conservazione, tra quelli analizzati, ho riscontrato alcuni tonni conservati con quello di semi vari (meno pregiato), con quello di oliva o di extravergine di oliva (molto pregiato) e infine con un mix di olio semi e di oliva. Buttate anche un occhio a quanto tonno effettivamente ci sia all’interno della scatoletta, uno s’immagina che l’olio di conserva sia presente in una quantità minima, invece spesso il tonno rappresenta solo il 65% e l’olio il 35%.
Sappiate che un tonno in scatola di buona qualità, sia sott’olio, sia in salamoia (al naturale), non ha bisogno di additivi e non dovrebbe contenere esaltatori di sapidità come il glutammato monosodico, siglato con E621. Aprire una scatoletta di tonno è paragonabile a rompere un ovetto di cioccolato, non si è mai al corrente della sorpresa all’interno. L’aspetto però più vergognoso è la totale mancanza di informazioni relative alla tecnica di pesca utilizzata e alla zona in cui i tonni vengono pescati.
La maggior parte del tonno in scatola è catturato utilizzando i cosiddetti ‘sistemi di aggregazione per pesci’ (FAD – Fish Aggregation Devices ). I FAD sono oggetti galleggianti che attirano pesci e altri animali, sono utilizzati per “concentrare” i tonni e poi catturarli e prelevarli con ampie reti a circuizione (purse seins). Il problema però è che i FAD attirano di tutto, tra cui tartarughe, squali, mante e un’ampia varietà di altre specie.
Purtroppo, questa modalità di cattura è una vera e propria trappola mortale per esemplari giovani e immaturi di tonno pinna gialla e tonno obeso, specie di grande valore commerciale. Sembra che circa il 70% delle catture “ ufficiali ” di tonno derivino dall’uso di FAD, capaci di alterare seriamente il ciclo vitale dei tonni, delle loro rotte migratorie, causando denutrizione e seri problemi all’ecosistema.
Tra tutti i tonni in scatola analizzati, uno si differenzia rispetto agli altri per completezza di informazioni. Sto parlando del tonno all’olio di oliva Asdomar in cui sono specificati la specie, il metodo e l’area di pesca (oceano e area FAO). Perciò pollice in su.
La mia attenzione è anche caduta su un tonno che ho trovato recentemente alla Coop, venduto in una scatola che spicca rispetto alle altre e che riporta sulla confezione il classico bollino blu con la dicitura “ pescato con il tradizionale metodo di pesca a canna”.
Il prodotto fa parte della linea Fior Fiore, un tonno all’avanguardia della pesca sostenibile che non utilizza appunto le reti FAD che aggregano anche altri pesci. Rispetto alla pesca industriale, che punta a ridurre al minimo gli equipaggi, la pesca a canna richiede più manodopera e quindi intendo premiare gli sforzi della Coop che da decenni è in prima linea riguardo la pesca sostenibile. Altro pollice in sù.
Speriamo che lentamente tutte le aziende produttrici di tonno in scatola vengano incontro ai diritti del consumatore per una maggiore trasparenza, e che prima o poi si indichi anche quando il tonno viene pescato, finora nessuna marca analizzata menzionava suddetta informazione.
*Nutrizionista – specialista in scienza dell’alimentazione
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