di Marco Lungo
Carissimi amici, questo è un articolo che da tempo dovevo fare, perché poi è una delle cose a cui mi è capitato più frequentemente di assistere nel mio itinere nel mondo gastronomico, sia come insegnante in corsi specifici, sia come consulente diretto. No, dimenticavo: anche sulla pelle mia, tanti anni fa.
Beh, in questo periodo di crisi perdurante e consistente, l’apertura di un locale o di qualcosa di attinente alla ristorazione ha il suo fascino per molti, dove proprio non è che l’ultima spiaggia che gli si presenti. Ormai, a conti fatti, è dal 2008 circa che non si vede luce, molti hanno perso il posto di lavoro e, con gli obblighi che hanno e una prospettiva di vita ancora più allungata, qualcosa ci si deve inventare. Ora, aprire un locale, alla fin fine, non è inventarsi qualcosa, anzi. E’, magari mutuare o tornare a quelle che sono state delle origini italiane importanti del boom economico del Secondo Dopoguerra, però alcune riflessioni ad ampio respiro vanno comunque fatte, proprio per e su questo.
Vedete, alcune cose, se non tutte, non sono affatto slegate fra di loro. Se decenni fa, aprire una attività era comunque fattibile e remunerativa quasi per chiunque ed in tutti i settori economici, oggi questo non è più vero. Il principale elemento di blocco è costituito dal calo drammatico del consumo interno, cioè, in pratica, quanto noi spendiamo personalmente per approvvigionarsi di cosa ci serve e, soprattutto, del problema economico reale che sovrasta tutto questo, cioè che noi viviamo di fatto in uno stato di guerra persa, anche se non ci sono state battaglie visibili.
Dove è che si vede questa guerra persa? Semplice. Nell’economia, così come nella “conquista”, sono i settori principali di necessità personale i posti che devono essere “presi” per primi, per avere posizioni di dominio. Fino a pochi anni fa, i settori chiave erano quelli del vestiario e dell’alimentare solamente, adesso ci si è aggiunto anche il settore delle telecomunicazioni. Ora, se ci pensate bene, tutti questi settori non sono più in mano italiana così come lo erano nei primi anni ’60. Quando diamo un nostro euro per mangiare o per vestire, oltre il 50% di esso finisce in mano straniera, adesso, sì, perché lo “straniero” ha vinto questa guerra economica e ci ha conquistato vestiario, alimentazione e gran parte delle telecomunicazioni. E quell’oltre 50% di euro che lo straniero si prende, non lo reinvestirà in Italia, se lo terrà lui per spenderlo dove meglio crede. Ecco la guerra persa, di brutto e senza possibilità di recupero. Non vi bastassero queste mie parole, ragionate un attimo sul fatto che anche la Fiat ha lasciato l’Italia. Bravissima, ha spolpato lo Stato fino all’osso, per poi invece conquistare lei qualcosa all’estero e scappare. Non è che uno debba aver fatto chissà quali studi per capire tutto ciò.
Quindi, il fatto che noi stiamo in una situazione di crisi e che, se spendiamo qualcosa, questo finisce in gran parte nelle tasche di chi non investe quei soldi in Italia, cambia radicalmente lo scenario rispetto ad anni fa, quando almeno, se comunque spendevi, parecchio rimaneva dei patri confini. Oggi, quindi, aprire una attività è quasi diventata un’azione partigiana o quasi.
A quel punto, perciò, visti gli scarsi mezzi partigiani a disposizione, bisogna farla bene, decisa, secca e che sia il più efficace possibile. Ecco, quindi, che parliamo di aprire un ristorante. Una azione partigiana, da duri, decisi e votati a tutto. Pensate che io ci stia celiando un poco sopra? Manco un po’. Aprire una attività nel mondo della ristorazione è spesso, come ho detto, un atto necessario e di ripiego di fronte alla crisi perdurante, però è anche un grosso atto di coraggio. E ce ne vuole tanto di coraggio, considerando anche che hai uno Stato (cioè, quella che dovrebbe essere la Patria per cui ti batti), che invece ti rema contro.
E ti rema contro di brutto. Prima di tutto, con le leggi che ti mette di fronte per aprire un locale, poi devi passare per il sistema creditizio, che è quello che è. Piccola parentesi, sull’argomento. Ma vi pare a voi che, proprio in Italia, il Paese con forse la più alta inventiva al mondo per tanti decenni, non si siano mai sviluppate Merchant Bank o, meglio, banche o enti che ti dessero dei soldi su una idea? Possibile che un ragazzino come Zuckenberg abbia fatto in dieci anni quel mostro economico di successo che è Facebook, tanto per fare un esempio, trovando soldi da banche e finanziatori, mentre noi qui rimediamo i soldi dalle banche solo se già ci abbiamo i soldi noi a garanzia? Anche questi sono gli aspetti della guerra che abbiamo perso senza nessuno che si sia accorto che si stava combattendo.
Comunque, tornando a noi, ci sono una serie di cose importanti da dire a chi progetta l’operazione partigiana di aprire un locale di ristorazione.
Primo, lo abbiamo già detto, non si improvvisa. Non si deve improvvisare nulla. Non è più possibile, non è più permesso. Oltretutto oggi, poi, con internet, è facile anche fare alcune operazioni di controllo. Ad esempio, se vi viene una idea che vi sembra innovativa, dimenticatevi subito che lo sia. Al 99% qualcuno ce l’ha già avuta e l’ha implementata nel mondo. Quindi, datevi da fare subito con i motori di ricerca, controllate bene cosa è successo e come vanno locali analoghi a quello dei vostri pensieri, annotate tutto.
Secondo, non dimenticatevi mai che il locale che andreste ad aprire, non può attirare gente. Non siete dei nomi affermati, ancora. Quelli, oltretutto, sono anche pochi e, se vedete, non è che poi aprano nuovi posti in località sperdute perché “tanto la gente ci va”. La fava. La gente non ci va più tanto fuori perché viaggiare è un costo, fino ad arrivare al terrore dell’essere fermati e rovinati per la guida in stato di ebbrezza.
Terzo, fate una seria analisi su dove un posto possa essere aperto convenientemente, cercando esattamente la zona dove manca e che sia di passaggio e collegata. Costerà di più? Sì, ma il fallimento ve ne costa una cifra enormemente superiore.
Una volta individuato il posto, va fatta una accurata analisi di mercato, cioè bisogna controllare, locale per locale e per molto tempo, tutte le attività che circonderebbero quello che voi vorreste aprire, e si deve fare una apposita reportistica su vari aspetti, legati principalmente a clientela, orari, qualità, reputazione del locale tra la gente e su internet… insomma, un bel po’ di cose, credetemi.
Quarto, è il momento di vedere come fare: se si rimedia un locale in quel posto, quanto vogliono, se c’è una buonuscita da pagare a chi già c’è e fa altro (cosa che non sarebbe più permessa ma che non si evita, siamo in Italia), vedere se sono possibili certi lavori fondamentali (prima su tutte, la canna fumaria) e che il condominio non si metta di traverso, indi farsi un corso HACCP, prima su internet per capire e poi dal vivo per essere capaci ad attuarlo sul serio (e non sbuffate, che l’HACCP è straordinariamente utile e necessario, mettete nel budget del locale di informatizzarlo come passaggi, che vedrete che risparmio vi porta e che salto di qualità dà al locale), cercare di fare dei corsi specifici per alcuni aspetti amministrativi e gestionali del locale, poi, solo poi, cominciare i lavori.
Quinto. I lavori sono un altro problema abbastanza complesso. Non andate al risparmio sulle piccole cose, saranno quelle che vi tradiranno prima e nel momento in cui ne avrete bisogno, soprattutto se sono cose legate alla struttura (Murphy vi aspetta dietro l’angolo, in questi casi). Affidatevi a ditte serie, possibilmente vicine e delle quali vi siate informati con tutti i mezzi che oggi internet anche vi mette a disposizione. Mentre fate i lavori, tenete sempre fissa una data di inaugurazione. Quella per voi deve essere la luce fissa che non dovete perdere. Non anticipatela mai solo perché state già pagando l’affitto del locale. Quella è la prima stupidaggine che fanno in molti. Mettete una data che sia fattibile, concordatela con tutti quelli che lavorano, e scrivetela proprio sul muro del locale, con un bel cartello. Sembra una stupidaggine, e invece non lo è.
Sesto. Potreste avere delle facilitazioni e degli alleati che neanche vi immaginate o vi sentite scoraggiati come strade da perseguire. Non è così, provateci sempre, al massimo vi dicono di no. Parlo dei finanziamenti alle imprese che le Regioni o altri Enti elargiscono per questo tipo di attività. Su tutte, vi cito la 215/92, altrimenti detta Legge sulla Imprenditoria Femminile, che è in genere ben finanziata ogni anno ma spesso mal sfruttata. Il mio consiglio è di recarsi sempre alla competente Camera di Commercio del territorio in cui decidete di impiantare l’impresa e farvi consigliare direttamente da loro, così come cercare se nella vostra Regione è attiva Sviluppo Italia per avere ulteriori e più mirati elementi sull’argomento.
Settimo. Nel periodo dei lavori, per caso, state pensando che il vostro impegno sarà solo quello di seguirne l’andamento e fare le pratiche burocratiche? Sbagliato. Terribilmente sbagliato. Dovete assolutamente iniziare a curare un aspetto fondamentale dell’azione partigiana. La comunicazione. Su quella dovete pensarci tanto, di continuo, sapere che non si ferma all’aver trovato un marchio che ritenete sia efficace, un menù ed un concept di locale che possa andare. No, dovete progettare la comunicazione passo passo ed iniziare a farla. Oggi, questa comunicazione è fondamentale, passa quasi tutta per Internet e la si deve saper fare assolutamente al meglio, senza sbagliare una virgola. Invece, proprio su questo aspetto, si vedono le cose più incredibili, con i relativi risultati disastrosi anche di posti che sarebbero, per altri versi, vincenti.
Ottavo. L’azione partigiana non si fa da soli. Si è una squadra. Quindi, è importante saper selezionare e formare i componenti di questa pattuglia. Combatteranno al vostro fianco, perciò devono essere il meglio che vi possiate permettere e di vostra massima fiducia. Si deve capire da subito che c’è una forza di produzione e c’è una forza vendita, dove questa è il personale di sala o di banco. Loro devono essere perfetti in tutto, perché sono la vostra faccia, la vostra reputazione, il vostro prodotto.
Nono. E la moglie che cucina bene? E mica me la sono dimenticata! Lei è quella che deve portare a termine l’operazione partigiana. Lei deve essere quella che spara il colpo finale, quindi deve partire fin dall’inizio e capire prima di tutto se è brava o no a sparare con le armi professionali (quindi, un bel corso di cucina o una mesata come cuoca in un ristorante che la prenda, non gli farebbe male affatto, almeno capirebbe anche se quella vita gli piace o meno, che è un aspetto enormemente importante da capire prima di iniziare), poi dare fuoco alle polveri di un menù, di una organizzazione di cucina, di gestione delle forniture e di tutto quello che, in piccolo, una brava moglie che cucina bene a casa già fa ma che, nella vita professionale, è moltiplicato per cento (almeno) e nessuno gli spiega mai così bene.
Ecco, con queste righe, spero non di aver scoraggiato nessuno, quanto invece di aver dato delle utili linee guida ai partigiani odierni della ristorazione, costretti a rintanarsi in nuovi luoghi rispetto a dove pensavano di poter vivere per sempre, cambiando completamente abitudini di vita e di pensiero. Non si improvvisa, assolutamente. La mia conclusione è questa. Non si improvvisa. Una azione partigiana si programma punto a punto e deve andare a segno alla prima botta perché, soprattutto oggi, non c’è spesso modo per riprovarci.
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