di Gianfrancesco Paci
Vi è una striscia di terra, piccola, della già non estesissima provincia di Macerata, nelle Marche, in cui vive un’uva, che un Grande Sommelier cane da tartufi in concorsi internazionali riconoscerebbe dal suo bouquet aromatico come “del centro Italia”. Quando si presenta al naso è una “confusione” di percezioni estremamente intrigante, e presentatasi al palato, offre un piccolo ma caleidoscopico ventaglio di profumi e aromi piuttosto inusuali, freschezza “sempiterna” e, soprattutto, immediata piacevolezza. Il suo nome è Maceratino.
Per lungo tempo si è pensato fosse un vitigno di derivazione del greco, vista l’influenza del popolo ellenico sulla zona del “gomito” marchigiano, e per uno spicchio dei suoi sentori riconoscibile nell’agrumato croccante.
Invece, ricerche molto più approfondite e certe che l’hanno identificato come DNA a sé, sotto un profilo cromosomico lo hanno collocato molto vicino al “dirimpettaio” Verdicchio, e più alla lontana ad una forma di quelle latitudini di Trebbiano.
Girando per l’Italia mi capita quasi sempre di trovare appassionati che ne ricordano il nome per puro nozionismo, magari avendolo solo studiato per gli esami da sommelier o a causa di qualche visita ai padiglioni delle Marche nelle sempre più numerose e caotiche fiere nostrane. Ma quasi mai trovo chi lo abbia consapevolmente assaporato.
Gli interpreti locali che dalla metà degli anni ’90 hanno deciso di uscire con il Ribona (nome del vino ottenuto dalla suddetta uva), “relegandolo” ad un ruolo di protagonista tra i prodotti più peculiari dell’azienda, sono numerose.
Il motivo è molto semplice: se lavorato bene, il risultato finito è davvero interessante.
Si può partire da un frutto esotico (a scelta dell’appassionato degustatore), non troppo maturo ma estremamente fresco, passando dai più vicini agrumi, per arrivare a tutti i fiori di campo, piccoli e medi, comprese camomilla e ginestra. In bocca la spiccata ed avvolgente acidità è un biglietto da visita accolto con entusiasmo ed in fila si presentano miele e tutti i sentori di questa famiglia, sempre immersi in un campo di fiori, lasciando i sensi pronti ad uscire con una persistenza unica che, per un bianco abbastanza giovane, è sempre più cosa rara…
Gli abbinamenti che nelle Marche, ma soprattutto nella lingua maceratese, vengono indicati, non sono pochi. Si parte ovviamente dall’abbondante pesce azzurro di cui questa area di Adriatico è tanto pescosa, non troppo elaborato in cottura e si arriva ad insalate composte da mix di ortaggi con tonno e formaggio a stagionatura media a scaglie. Si prosegue con delle bruschette con pomodorini e origano freschi ed un giro d’olio da ascolana tenera, saltando ad un primo con qualsiasi preparazione in salsa, senza ovviamente cotture lunghe o selvaggine. Va da sé che tutta la produzione casearia dei vicini Monti Sibillini con, perché no, un fritto “marchigiano” di olive all’ascolana, verdure pastellate e cremini, rappresentino un matrimonio trionfale sia da un punto di vista territoriale che sensoriale.
Non da ultimo, in calde serate estive, in cui la corrente del nord dell’Adriatico sbatte contro il Monte Conero, lasciando la fetta di costa immediatamente a sud che va da Numana a Pedaso in una situazione di “tipica” umidità, servito quasi “freddo” – anche a 7’ o 8’ – all’ombra di un terrazzo o un giardino, o su uno chalet in riva al mare, rappresenta, in una conversazione, fonte di “fresco indotto” di piacevolezza infinita e assolutamente magica…
La Ribona non è un vino da guide o da punteggi che rincorrono testardamente la direzione del 100. Gli manca, forse, quella complessità che ormai si vuole a tutti i costi trovare in un vino per identificarlo come “eccellenza”.
Io credo però che un Grande Vino è un prodotto che prende tutto ciò da cui proviene e genera ai sensi di chi gli si avvicina, un’espressione autentica delle proprie, intrinseche e assolutamente uniche peculiarità.
Benvenuti all’assaggio della Ribona.
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