di Fabrizio Scarpato
Un signore si avvicina: “Mi scusi ma questo è un Vermentino?”
Mentre gli rispondevo che sì, si trattava di un Vermentino, Colli di Luni, comune di Castelnuovo Magra, anzi proprio Castelnuovo paese, per essere precisi proveniente da un’unica vigna splendidamente sessantenne, un cru, tanto per far pesare le parole, proprio sotto il castello, che aveva anche un nome, Boboli, proprio come il vino di cui stavamo parlando, mentre insomma mi pavoneggiavo anche con un filo di insopportabile sussiego, il gentile signore continuava a guardare la bottiglia che avevo tra le mani, che cercavo di toccare in punta di dita, come sanno fare quelli bravi. In effetti forse non si fidava delle mie parole e cercava conferme tangibili nell’etichetta: “Perché vede, un Vermentino così fruttato non l’avevo mai sentito”, e lo diceva con un’aria soddisfatta, gli occhi luminosi.
Anche il bicchiere mandava bagliori di cristallina purezza attraverso toni di giallo paglierino che non lasciavano presagire quella cascata di profumi di fiori e di frutta in una sorta di caleidoscopio di complessità: un’elencazione quasi tassonomica nel rincorrersi di fiori bianchi e erbe aromatiche, nel confronto tra dolci morsi agrumati di pompelmo e di cedro, e note citrine più marcate, sparse tra freschezze esotiche, forse sulla via del litchi, fino alla nostrale franchezza di grosse susine gialle. Qua e là punte di miele di acacia e anice, a scompigliare l’aria. Ed era bello lasciarsi andare al sentimento bucolico, a una dimensione ordinata di colori e sensazioni, che somigliava molto più a una passeggiata in un giardino che a una corsa tra i prati.
E la fantasia corre alla sensualità dei giardini di Citera, teatro del sogno d’amore di Polifilo per la dolce Polia. Si canta l’avvolgente circolarità del disegno, la confortevole leggiadrìa delle spalliere di aranci e limoni, l’amenità dei boschetti e dei ruscelli punteggiati di balsamite, l’ordinata cadenza delle aiuole aromatiche profumate di cedronella e basilico e infine il susseguirsi dei pergolati di ciclamini e rose pentafille tra le fresche bordure, ad intervallare deliziosi alberi da frutto. E’ l’Hypnerotomachia cinquecentes
Il volo naturalistico trova sostegno nell’assaggio, che è un sorso pieno e caldo, morbido di frutta inopinatamente non agra, ma pastosa, da masticare, e una pietra netta e forte, vibrante di una mineralità non amara, anzi al limite della levigata, balsamica dolcezza. Ma è la freschezza che ti accompagna a lungo, e con te il vino: incontrarlo anche dopo quattro anni potrà sorprendere per ricchezza, opulenza, lacrime commosse sulle guance e nel bicchiere, in una vagheggiata ed elegante armonia. Che poi cos’ altro è un vino, se non il frutto d’una lotta quotidiana intrisa d’amore e di sogno, fino a rappresentare esso stesso la sintesi, la proporzione tra la misura dell’uomo e la bellezza della natura?
Il signore curioso continua a guardare la bottiglia: “Come si chiama? Boboli?”. “Esattamente”. “Boboli, come i Giardini di Firenze!” Sorridi: “Sì, proprio come i Giardini di Firenze”.
Citazione de l’ Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (1499)