11 maggio 2002
Come le api ai tempi di Plinio volteggiamo sulla vitis apiana dolcemente piantata sui colli irpini dove ancora le aziende non amano troppo comunicare al mondo i tesori custoditi in cantina: l’antica paura rurale delle malelingue e della invidia forse è ancora più forte del bisogno commerciale di affacciarsi sul terrazzino mondiale del mercato globale. Aspetto, questo, fastidioso per chi tempo ne ha poco, ma a noi che zonzoliamo una mattina sì e l’altra pure fra Taurasi e Montefredane questa difficoltà ci spinge ancor di più a curiosare, girare, sniffare, degustare, chiacchierare e rapinare segreti. Così ecco spuntare improvvise le cantine Colle di San Domenico (statale Ofantina, chilometro 7,5 a Chiusano di San Domenico. Telefono 0825.985423, sito internet www.cantinecolledisandomenico.it) di cui segnaliamo il Carpino, un Taurasi vellutato e ricco al naso e la doppia versione del fiano, quella base con vinificazione in acciaio e quella fermentata e maturata in barriques così come si sta provando in molte cantine con risultati alterni. C’è la mano dell’enologo Maurizio Caffarelli, adepto a quella che possiamo già definire la «scuola Muoio». Ed ecco dunque la disputa antica, se al fiano faccia meglio il metallo o il legno: risposta soggettiva, sissignori. Al nostro palato coltivato da sempre con tanto tabacco e abbondante peperoncino offre più sollievo la freschezza del fiano vissuto in acciaio, imbottigliato però senza fretta e consumato con calma, cioé almeno due anni dopo la vendemmia. Così ci sembra smascherata tutta la tipicità del vigneto, bene l’abbinamento con la cucina dai sapori equilibrati e mai arroganti del territorio che trova la sua alta celebrazione dai fratelli Fischetti dell’Oasis di Vallesaccarda. E benissimo anche sull’amarognolo e sulla grassezza delle ostriche e dei «taratufi» serviti senza parsimonia tra Recommone a Punta Campanella. Così parlò Plinio il Vecchio.