Non sempre quando si apre una bottiglia cerchiamo il vino della nostra vita. Direi, anzi, che 99 volte su cento stappiamo solo quel che ci serve, magari stare in compagnia, oppure mangiare. Così in spensieratezza.
Il patrimonio genetico italiano è infinito, l’esplorazione sostenuta dai pochi fondi assegnati alla ricerca non è ancora compiuta, ma non c’è regione che non mostri di avere una carta di riserva da giocare quando tutto sembra essere già visto, già letto, già bevuto.
E’ il caso in Campania della Coda di Volpe, un vitigno a bacca bianca diffuso soprattutto nell’areale irpino, dove probabilmente è arrivato dal Vesuvio, e che da qui si è poi trasferito nel Sannio. Per capire il nome basta guardare il grappolo. Uva sempre presente nel vigneto contadino, usata per riequilibrare l’acidità eccessiva della Falanghina sul Vesuvio, del Fiano e del Greco di Tufo in Irpinia. Poi la decisione di due aziende, chissà quale per prima, di vinificarla in purezza anticipando la raccolta prima di San Gerardo e cogliendone in tal modo la giusta freschezza.
Il professore Antonio Troisi con Vadiaperti a Montefredane e Mimmo Ocone a Ponte, vicino Benevento, sono stati i pionieri di questo bianco alla fine degli anni ’80. Un vino che poi conobbe un grande lancio commerciale all’inizio degli anni ’90 grazie ad affusolate bottiglie renane della Cantina del Taburno. Per dei motivi a me sostanzialmente incomprensibili, la Falanghina, nelle stesse bottiglie, prese il volo e si affermò.
La Coda di Volpe invece ha vivacchiato, pochi ci hanno creduto, scoraggiati forse da un mercato che non è pronto a recepirla.
Ecco perché è sempre un buon segnale quando viene mantenuta in catalogo da un’azienda: indica affezione al territorio, l’esistenza di una clientela comunque fedele al proprio vino. Nell’ultima Fiera Enologica di Taurasi abbiamo provato quasi tutte quelle irpine che adesso vi racconto molto brevemente.
Cantina Giardino, Paski 2010 Campania igt | Voto 85/100
Qui è la versione estrema dei vini naturali, lunga macerazione sulle bucce, niente filtro. Una versione didattica, che riporta sicuramente alla mente gli antichi bianchi contadini a cominciare dal colore, nella quale però forse la freschezza esce leggermente penalizzata. In compenso in bocca è lungo e sapido.
Di Meo, Coda di Volpe 2011 Campania igt |Voto 86/100
Sin dai primi anni Roberto Di Meo ha avuto un’occhio di riguardo alla Coda di Volpe utilizzando uva di Salza Irpina, Montemarano e Manocalzati coltivata tra i 500 e i 550 metri. L’esecuzione, solo in acciaio, è molto gratificante in bocca, dove è sottile e fresca, secca e scattante. Al naso però è un po’ omologata e poco significativa.
Di Prisco, Coda di Volpe 2011 doc |Voto 87/100
I bianchi di Pasqualino Di Prisco sono sempre una sorpresa piacevole: c’ è attenzione e capacità di attendere. Anche la Coda di Volpe va sempre aspettata un po’. Buona frutta al naso e in bocca, sapidità e buon corpo fanno da corredo.
Donnachiara Coda di Volpe 2011 Irpinia doc | Voto 85/100
Prima edizione per l’azienda di Montefalcone la cui vocazione in questa prima parte di storia aziendale è decisamente vocata ai bianchi. Il Coda di Volpe, lavorata in acciaio, mostra una buona tensione al palato, secca e fresca, mentre al naso ha un inutile esubero di fruttato dolce che inizialmente devia l’attenzione. Chiusura amara e pulita.
Perillo, Coda di Volpe 2010 Irpinia doc | Voto 87/100
Ecco un esempio di aderenza territoriale: un produttore di Taurasi e di Aglianico che produce solo questo bianco senza acquistare le uve di Fiano e di Greco come fanno tanti piccoli produttori per soddisfare le richieste di enotecari e ristoratori ignoranti e frettolosi. E che bianco: lavorato con semplicità in acciaio ma al tempo stesso atteso con grande pazienza prima dell’uscita, almeno un anno della vendemmia. La dolcezza olfattiva è di frutta bianca matura con allungo fumé, in bocca è piena, matura, piacevole, lunga, efficace, di corpo, assolutamente utile nel cibo grazie alla vibrante acidità che sostiene la beva dall’inizio alla fine. Un sorso sapido e amaro, dissetante.
Tenute del Cavalier Pepe, Bianco di Bellona 2011 Coda di Volpe Irpinia doc |Voto 86/100
Nessuna azienda più di questa condotta da Milena Pepe, figlia di emigranti che hanno reinvestito nel paese di origine acquistando terreni e costruendo una cantina, crede nella Coda di Volpe. Talmente bianco di territorio da essere piantato con decisione. La gestione delle uve proprie si vede nel bicchiere, pur con la lavorazione semplice in acciaio, pressatura, fermentazione e riposo in vasche, il bianco esprime frutta bianca matura, freschezza e sapidità. Lungo e piacevole.
Terredora Coda di Volpe 2011 Campania igt | Voto 85/100
Tra le grandi aziende irpine, è l’unica a mantenerla nella gamma in purezza. Dopo alcune annate un po’ indecise, il salto in avanti compiuti dai bianchi ha una ricaduta positiva anche su questo considerato minore, con un naso gentile e poco pompato e una beva semplice e fresca in una versione sottile e piacevole.
Vadiaperti Coda di Volpe 2011 Irpinia doc |Voto 88/100
Il manico poco abituato alla mediazione si vede anche in questa edizione: un bianco assolutamente salato, minerale, verticale, di grande impatto, capace di imporsi subito all’attenzione di chi beve conquistando il centro della discussione. Lunghissimo, con finale amaro e pulito, una bottiglia che reclama il podio quando finisce nelle degustazioni alla cieca.
In sostanza da questa degustazione possiamo trarre delle linee comuni? Secondo noi si. Eccole
1-Si tratta di bianchi low cost, non li troverete mai sopra i dieci euro in enoteca.
2-Sono lavorati in acciaio
3-Hanno un olfatto in genere sempliciotto e rustico, in ogni caso poco interessante.
4-In bocca però si delinea con chiarezza il marker territoriale ormai comune a tutta la Campania: freschezza, sapidità, assenza totale di dolce.
5-La Coda di Volpe è la compagna a tavola dei piatti di pesce e di tutta la cucina vegetariana senza pomodoro.
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