Come sapete, amo molto la Coda di Volpe: ci sono veri e propri artisti di questo vitigno bianco irpino ancora meno conosciuto di Fiano e Greco ma non per questo meno valido. Cito per tutti il grande Michele Perillo che lo produce come unico bianco al suo Taurasi. Ed è questo che lo fa essere un autentico vigneron a differenze di quanti, pur definendosi tali, hanno più etichettein catalogo di una grande azienda, spesso con uve acquistate e non di propria produzione.
Ancora meno persone snano che uno dei luoghi di produzione della Coda di Volpe è nei pressi dell’Abazia di Mercogliano, precisamente a Masseria Murata dove i primi imbottigliatori, Antonio Troisi e Domenico Ocone, veniva ad acquistarla ormai nella prima metà degli anni ’90.
La famiglia Argenziano a mantenuto questa tradizione, con qualche incertezza, ed è in grado oggi di esprimere veri e propri gioielli enologici, come questa Coda di Volpe 2008 già provata da Nicola Barbato in una bella serata estiva di pizzaioli alle prese con la sua cipolla ramata di Montoro.
L’abbiamo ribevuto con gratitufine in una bella cena fra amici organizzata da Raffaele Vitale a Casa del Nonno 13 in quel di Mercato San Severino dove sono stati proposti piatti antichi e autentici che ben si accordavano con questo vitigno.
La Coda di Volpe è un vino che probabilmente non ha l’energia prepotente del Greco di Tufo e neanche la finezza espressiva raggiunta dal Fiano di Avellino dopo i cinque anni dalla vendemmia. Ma esprime comunque freschezza, lunghezza, sapidità, una spinta emozionale vera di un bianco gentile e discreto, molto simile al carattere degli abitanti che lo coltivano.
Il nostro invito è sempre quello: differenziare, differenziare, differenziare. Conservare, conservare, conservare. Non c’è altro modo per difendere la pcicola viticoltura di nicchia di queste colline che è sopravvissuta non omologandosi e che adesso rischia proprio perché, forse, ha perso le ragioni della sua capacità di restare attaccata alle tradizioni.
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