VADIAPERTI
Uva: coda di colpe
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Dobbiamo intenderci quando parliamo di vino: una piccola Skoda non potrà mai andare più veloce di una Ferrari, però se ha un target di vendita e le sue prestazioni la rendono degna di successo va analizzata, valutata e goduta. Il caso della Coda di Volpe, ma anche della Falanghina dei Campi Flegrei, è emblematico da questo punto di vista. Se si chiede bevibilità, immediatezza, costo contenuto, abbinabilità allora è sulla base di questi indici che deve essere giudicata, mai insomma, paragonata lontanamente a Fiano, Greco e alla stessa Falanghina del Beneventano per capirci. Nel suo piccolo, anche la Coda di Volpe può essere però un piccolo capolavoro ove si riesca a distinguere per alcuni parametri, tra cui la cosiddetta tipicità, cioé la capacità di restare fedele a se stessa così come è stata fissata nel corso dell’esperienza maturata nel corso degli anni. Non tanti, intendiamoci, neanche venti perché prima nemmeno dai contadini veniva vinificata in purezza. Credo sia assolutamente il momento di ripensare profondamente alcuni canoni su cui si è sviluppata la polemica, o quanto meno la critica, in cui si è professata la richiesta identitaria per territori che in realtà la stanno costruendo solo adesso sotto i nostri occhi. Basti del resto pensare al fatto che solo negli anni ’50 e ’60 l’enologia francese è riuscita a stabilire i suoi principi sui vini rossi, tra cui quelli della realizzazione corretta della malolattica: per cui l’idea che ci sia un genius loci nel bicchiere da scoprire di cui alcuni sarebbero interpreti autentici mentre altri semplici taroccatori è quanto meno balzana e tutta italiana, cioé ideologica, atteso che sui vini del Sud pochissimi ancora sono gli studi scientifici e nulli quasi quelli sui suoli delle doc e delle docg da Roma in giù. Ricorda, insomma, la filosofia dell’opposizione alla Tav, un filone che si riaggancia, ad esempio, alle polemiche negli anni ’50 contro la costruzione della Napoli-Pompei (fate case e fabbriche non autostrade, si scriveva su Cronache Meridionali). Un discorso necessario per stoppare ogni minimalismo pauperistico sulla Coda di Volpe: parliamo di un bianco semplice in grado però di dare buone soddisfazioni a chi sa entrare nelle pieghe del suo ragionamento con il terroir. Il 2005 di Raffaele Troisi, provato in degustazione al corso degli amici di Terra da Vino, ha coinvolto naturalmente per la sua tranquilla freschezza a distanza di due anni e mezzo dalla vendemmia, acidità sicuramente molto più contenuta, direi domata, rispetto a quella dei cugini bianchi più conosciuti, ma la passione per questa uva si evidenzia dall’importanza assunta dalla struttura del vino, decisamente appagante in bocca con una lingua assolutamente avvolta e sistemata, buona frutta bianca al naso in bocca con profumi forse non intensi ma sicuramente persistenti, e soprattutto con una chiusura lunga, pulita, precisa. Quando questi bianchi hanno un buon livello di alcol creano i presupposti per una evoluzione interessante nel corso degli anni. La berrei sulla magica pasta e fagioli da Zì Pasqualina ad Atripalda: è come la tomba di Tamerlano a Samarcanda. Cioé non puoi dire di aver mangiato pasta e fagioli nella tua vita se non l’hai mai provata. Vale lo stesso per la Coda di Volpe di Raffaele.
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