Ciro Salvo è il terzo pizzaiolo presente nella giuria del contest Il Giovane dell’anno indetto dal Mattino insieme al presidente delle Centenarie Antonio Grasso e a Errico Porzio.
Anche lui, classe 1977, ha iniziato a lavorare giovanissimo.
“Avevo 14 anni quando mio padre mi disse che dopo la scuola dovevo dare una mano nella pizzeria di famiglia che avevamo a Portici. Così è stato fino a quando non mi sono diplomato”.
-Una adolescenza dura.
“Rispetto ai canoni odierni certamente si, ma allora era normale aiutare nella pizzeria di famiglia, erano altri tempi per la pizzeria. Inoltre in questi anni ho sviluppato la mia passione per l’impasto e fu per me una gioia enorme quando mio padre mi diede il permesso di fare la prima pizza dopo tanto tempo. Prima ci avevo provato solo di nascosto”.
Nel 2004 il passaggio a San Giorgio a Largo Arso dove attualmente c’è la pizzeria dei tuoi fratelli.
“Si, il trasferimento era stato programmato da mio padre ma purtroppo non fece in tempo a vedere la nuova pizzeria perché è morto prima, molto giovane. Ci ritrovammo noi ragazzi e ripartimmo praticamente da soli anche se devo dire fu subito un successo perché ci seguì anche partire della clientela di Portici e già allora andavamo molto bene”.
-Poi la rottura e il passaggio a Massé e Torre Annunziata.
“Si, avevamo già anche il progetto di allargamento che poi è stato realizzato. Dal 2011 al 2013 ho lavorato a Massè che inizialmente era solo un bar”.
Il successo di 50 Kalò
-Nel 2014 la grande svolta con 50 Kalò a Piazza Sannazzaro.
“Si, siamo andati subito molto bene, anche perché dieci anni fa non c’erano le pizzerie che ci sono adesso, avevamo meno concorrenza e quella piazza aveva sempre avuto una storica tradizione di locali aperti sino a tarda notte. Dopo un anno insieme a Guglielmini abbiamo investito per raddoppiare il locale e aumentare i posti a sedere e da allora è stata una cavalcata trionfale, ogni anno abbiamo fatturato di più di quello precedente. Questo ci ha consentito di fare investimenti con le nostre forze”.
-Oggi sei un pizzaiolo maturo, ancora giovane ma con quasi un quarto di secolo di lavoro alle spalle. Cosa è cambiato nel mestiere di pizzaiolo?
“Diciamo che io sono a cavallo fra due generazioni di pizzaioli. Quelli più anziani avevano una manualità maggiore, sentivano l’impasto, magari non lo sapevano spiegare, ma lo sapevano fare. I giovani hanno più conoscenza ma meno manualità, vuoi per le farine che sono cambiate, ma anche per i forni che sono più performanti. Un’altra differenza riguarda i topping delle pizze, oggi decisamente migliorati anche se non mancano le esagerazioni mentre sono quasi del tutto spariti i fornai, ossia i pizzaioli specializzati nella cottura”.
-Ti sei replicato prima a Londra e poi a Roma. Come ti sei mosso?
“Cercando sempre buoni fornitori con i quali ho un rapporto diretto e lavorando sulla formazione dei ragazzi. Attualmente ne abbiamo cento a Napoli (trenta a 50Panino), 40 a Roma e 30 a Londra”
-E non hai problemi di personale?
“Bisogna entrare nella mentalità dei giovani i tempi sono cambiati e non tutti sono disposti a rinunciare ad avere una vita fuori dalla pizzeria. Cerchiamo di pagare bene, magari con incentivi, ma soprattutto facciamo ruotare bene i turni per cui ci sono anche sabati e feste liberi per tutti. Inoltre è importante responsabilizzare chi lavora con te, l’appagamento psicologico è importante quanto quello economico. In una parola, devono stare bene, così preferiscono restare anziché fare salti nel buio”.
-Hai annunciato una nuova apertura…
“Si faremo un locale solo per prenotazione, proprio di fronte al Consolato Usa e nel frattempo puntiamo ad una ristrutturazione di piazza Sannazzaro che resta la casa madre”.
-Oggi tu sei l’alfiere di una tradizione modernizzata. Non ha voglia di fare altro?
“Assolutamente no. La nostra forza è proprio la pizza tradizionale che resta in assoluto la più richiesta. Io credo che ciascuno debba specializzarsi in qualcosa e non fare tutto. Che ben vengano altri tipi di pizza, ci mancherebbe, ma io preferisco presidiare il campo della tradizione. Il prodotto tradizionale fa incassare di più, provare per credere”.
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