Pruno, profondo Cilento in zona Cervati. Forse non c’è zona della Campania più lontana e immersa nei boschi ed è proprio la distanza a diventare opportunità. Già, perché è un valore aggiunto nel mercato globale del cibo presentarsi con qualcosa di antico e diverso, in grado di offrire un sapore non imitabile. Parliamo di grano, di grano carosella, testardamente conservato e ripiantato negli ultimi anni nell’area forestale compresa fra i comuni di Valle dell’Angelo, Laurino e Piaggine.
Il progetto di recupero nasce da Angelo Avagliano, referente per Terra Madre della comunità con il suo agriturismo Tempa del Fico. Invece di mettersi a fare fusilli al pomodoro e carne alla brace per i viandanti domenicali in cerca di emozioni rurali, ha salvato l’antico cereale: nella valle è stato recuperato l’antico seme carusedda (carosella) di Pruno, ed è stato avviato un piano partecipato per la valorizzazione del cereale e di tutta la cultura connessa alla sua coltivazione. È prevista l’installazione di un mulino a pietra di tipo tradizionale ma di fattura contemporanea, in modo da poter chiudere la filiera sul posto; sono in via di recupero altri cinque semi di antichi grani locali. Con materiali tradizionali del luogo sarà costruito un ricovero per cinque asini da utilizzare per escursionismo someggiato, onoterapia e produzione di latte.
Ma cosa è un prodotto se non ha una vetrina? Da questa considerazione è partito Enzo Crivella, fondatore di Slow Food nel Cilento, e grande scout di cibi, artigiani, biodiversità. Una idea semplice semplice: portare il grano dall’interno alla costa dentro uno dei ristoranti più rinomati, il primo per tutte le guide specializzate, del Cilento dove è al lavoro ormai da trent’anni Maria Rina. Nasce così la «serata Carosella» alla quale sono invitati appassionati, studiosi e operatori del settore. Ma perché questo nome così musicale che ritroviamo anche nella vicina Lucania?
«Probabilmente – spiega Avagliano – il suo nome deriva dalla volgarizzazione del termine cariosside, che sta ad indicare il chicco secco di grano ancora rivestito dalle glumelle. Altra ipotesi consiste nel riconoscere la radice comune fra caruso (ragazzo con la testa rapata) e carosella (piccola testa-seme rapata, liscia); allo stesso tempo esiste un’analogia tra la spiga del grano, che risulta carosata, in quanto presenta delle ariste corte sulla sommità della stessa, e il termine caruso. La selezione frutto di secolare laboriosità dei contadini locali fa si che lo si possa definire un grano tenero per la forma del chicco, che risulta essere piccolo ed allungato. Allo stesso tempo il suo provato utilizzo tradizionale nel fare la pasta (fusilli, cavatielli, lagane) che tiene la cottura, denota un discreto contenuto di glutine e di semola (simile al grano duro), mentre il suo impiego nella panificazione è indice di un equilibrato contenuto di amido. Uno dei tanti gioielli del Cilento, dove al posto dei piani di edificazione selvaggia sarebbe bene che i sindaci pensassero a quelli per la salvaguardia della biodiveristà se vogliono assicurare un futuro ai giovani invece di consumare il territorio.
Il mio articolo pubblicato sul Mattino venerdì 25 febbraio
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