C’è una domanda che forse più di ogni altra segna la consapevolezza alimentare di ciascuno di noi: «Da dove viene». A ben pensarci, a partire dagli anni ’60 la voglia di sapere chi facesse il pane, chi pescasse il pesce, chi macellasse la carne, chi coltivasse la frutta e gli ortaggi, è pronunciata da un numero sempre inferiore di persone. A garantire psicologicamente il cibo, invece, è sempre più il marchio industriale.
Negli ultimi dieci anni la concentrazione delle multinazionali è diventata impressionante e ormai la maggioranza di quello che si vende nei supermercati è prodotto in paesi lontani di cui sappiamo poco o nulla, a parte il marchio che ci dovrebbe garantire.
L’artigianato alimentare ha dovuto costantemente arretrare e solo da poco si sta prendendo la rivincita culturale grazie a Slow Food e alle associazioni dei consumatori oltre che dei produttori che si stanno organizzando. Non c’è dubbio che la battaglia sul cibo sarà sempre più importante con l’aumento della popolazione.
Le multinazionali hanno la forza di imporre le leggi a proprio uso e consumo imponendo i propri protocolli di produzione. Ecco allora che un formaggio prodotto per tremila anni dai contadini diventa improvvisamente fuorilegge, la conserva fatta in proprio dal ristoratore deve essere nascosta mentre sugli scaffali si vendono tonni di mari lontani senza alcuna specifica.
E mentre ai piccoli caseifici si vuole imporre il doppio stabilimento, i grandi marchi beccati con la mozzarella blu continuano a fare tranquillamente i propri affari. Persino il forno a legna per il pane e per la pizza napoletana si è tentato di eliminare.
La biodiversità artigianale e culturale è la grande nemica delle multinazionali che invece hanno l’interesse a omologare il mercato per abbattere i costi di produzione e aumentare la marginalità del proprio reddito.
L’Europa, con il riconoscimento dei marchi dop e igp riesce a dare sicuramente uno scudo ad alcune eccellenze. Ma normative e vincoli Ue vanno in certi casi molto stretti alla grande tradizione della tavola italiana, rendendo impossibile il consumo di piatti della tradizione come la laziale pajata o la piemontese finanziera per via delle restrizioni all’utilizzo di interiora di bovino imposte nel 2001 con l’allarme «mucca pazza» e da allora mai rimosse.
Ma in generale la legislazione comunitaria non tutela il made in Italy, lasciando troppe maglie larghe nell’indicazione d’origine sulle etichette, tanto che in Europa il 50% della spesa è «anonima». È quanto ha denunciato ieri la Coldiretti nell’aprire l’esposizione «Con trucchi ed inganni l’Unione europea apparecchia le tavole degli italiani»>a MICo – Fiera Milano Congressi.
Ora anche vongole e cannolicchi rischiano di scomparire dalle tavole in quanto non si possono più raccogliere a causa di normative ambientali. Di converso – sottolinea l’organizzazione agricola – nessuna misura è stata adottata per impedire che carne o formaggi da animali clonati importati arrivino in tavola. E altrettanto si può dire per la permissività nelle indicazioni sull’etichetta che consentono a diversi prodotti di essere confezionati con materie prime di importazione straniera senza che il consumatore ne sia informato.
Più di un italiano su tre (36%), secondo un’indagine Coldiretti/Ixè, ritiene che le norme varate dall’Ue abbiano peggiorato l’alimentazione e il cibo servito a tavola; il 31% pensa invece che l’Ue non abbia modificato nulla, solo il 25% sostiene invece che abbia addirittura migliorato l’alimentazione degli italiani.
Da questa indagine si evidenzaa anche che il 52% degli italiani ritiene che l’Ue non dovrebbe decidere sui cibi che si consumano, mentre il 42% afferma il contrario.
«L’Europa – afferma il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo – non è solo rigore dei conti ed euro ma decide anche la nostra vita quotidiana, a partire dalla tavola. Dobbiamo cambiarla. Basta al formaggio senza latte e al vino senza uva o alla carne annacquata».
Di fatto sinora l’Italia non è stata capace di tutelare sino in fondo il proprio patrimonio agricolo. Paradossalmente, il più deciso a difendere il proprio territorio fu il leghista Zaia che tra l’altro fu anche tra i protagonisti della battaglia per le quote latte. Ma l’aspetto più pericoloso è il fatto che si abbassa la soglia del pericolo tra i consumatori per cui, soprattutto le giovani generazioni, arricciano il naso di fronte ad un pollo paesano e mangiano senza problemi pollo fritto allevato agli estrogeni e proposto in una delle tante friggitorie in franchising.
Ecco perché in realtà il vero paradosso è che tutte queste norme igieniste forse tengono lontani dai reparti infettivi ma rischiano di spalancarele porte di quelli oncologici.
*Pubblicato oggi su Il Mattino
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