di Giovanna Pizzi
Se c’è una cosa certa, a parte la madre, è il richiamo delle radici. È quel senso di appartenenza che ti lega indissolubilmente alla tua terra, alle tue origini e ai sapori che a loro appartengono. Niente emoziona di più di quel piatto che preparava la mamma o il gusto perduto di quella rarità che mangiavi a casa dei nonni. E quando tutto questo si intreccia con le tradizioni tipiche di un luogo diventiamo custodi inconsapevoli di un pezzo di storia. Cosa che, nel delicato passaggio dalla trasmissione verbale a quella scritta, io vivo con un certo senso di responsabilità. Nel raccontare i miei luoghi, nel ricordare la cucina di allora, nel riprodurre le stesse ricette. Mi viene in mente e mi fa sorridere, a questo proposito, quando innumerevoli volte chiedevo la ricetta di quel dolce o quel piatto e altrettante volte mi sentivo rispondere “le dosi?” “un pizzico”, “una cucchiaiata”, “tanto così”, “ad occhio”. I cibi di un tempo avevano un’unica unità di misura, l’amore, ed erano impastati con l’esperienza.
Sono nata in una porzione di terra che è tra le più remote del mondo occidentale, quella più a sud d’Italia, la punta della punta dello Stivale.
Quella che è come se si trovasse al di là delle Colonne d’Ercole, lì dove il Sud, lungo la SS106, una volta girato l’angolo si dirige nuovamente verso nord. Quella, per intenderci, che viene dopo la Salerno-Reggio Calabria. (Ecco, appunto, c’è qualcosa dopo Reggio Calabria, ve lo sto dicendo).
Questa terra è l’Area Grecanica, che già solo a citarla così, mi emoziono. Sa di maestoso, anche se a conti fatti è una delle zone più povere del mondo ricco, sa di storia, e infatti in alcuni luoghi si parla ancora il “grecanico” (idioma di origine greca), e sa di autentico, poche aree infatti, ritengo, siano incontaminate (e, senza che sia un’accezione negativa, a volte, arretrate) come questa.
E certamente autentici e incontaminati sono i suoi piatti e i suoi prodotti.
Geograficamente l’Area Grecanica comprende quattordici comuni, si estende una quindicina di km dopo Reggio Calabria lungo il Mar Jonio, attornia Capo Spartivento, fiancheggia la costa dei Gelsomini, risale verso l’Aspromonte, ha un cuore pulsante che è la vallata dell’Amendolea ed è impreziosita dai borghi antichi dei suoi paesi che sono uno più affascinante dell’altro, da Pentedattilo a Gallicianò, da Bova a Staiti, da Palizzi a Roghudi Vecchio.
Potrei stare ore a raccontare la bellezza di queste zone, dove il tempo si è fermato almeno alla metà del secolo scorso, ma si sa che quello che mi piace di più è mangiare e bere quindi sediamoci subito a tavola, anche perché, a queste latitudini, è quasi un dovere.
La cucina dell’Area Grecanica è tipicamente una cucina povera, quella dei pastori e dei contadini, verdure, legumi, formaggi, è una cucina dell’entroterra perché il mare era un pericolo, dove il maiale e la capra si contendono il baluardo dell’identità, è una cucina semplice, fatta di pochi ingredienti facilmente reperibili e cotture molto lunghe, spesso legata a simbolismi religiosi e alla necessità di conservare il cibo per l’inverno o per quando non c’è.
E non posso fare a meno, anche in questo caso, di ricordare i tradizionali lavori stagionali o i lunghi pranzi della domenica che animavano l’antico casale della mia famiglia paterna (perché la cucina sarà pure povera ma certamente è soprattutto abbondante).
Sempre protagonisti della tavola erano i maccheroni al ferretto, solo acqua e farina e abili mani a tirare, con il ragù di carne o con le polpette o, ancor più atteso, il condimento del capretto, lasciato cuocere dolcemente per ore ed ore.
Tradizionalmente solo con cipolla, alloro e ovviamente olio, abbondante (neanche a dirlo, perché l’olio è un alimento mica un condimento!) e di quello buono, di frantoio. Il nostro frantoio. Dismesso purtroppo ormai da anni ma per lungo tempo il fulcro del paese durante il periodo della molitura. Ottobratica la cultivar d’elezione.
Nel forno a legna, qualche metro più in là nel cortile, si sfornava contemporaneamente il pane fatto con farina di jurmano (segale nera, aromatica e tipica di queste zone della Calabria) che si tagliava a fette e via… un filo (si fa per dire) d’olio appena franto e un pizzico di sale e veniva fuori una delle cose più buone del mondo: pane caldo, olio e sale.
Le pagnotte che non erano destinate al consumo fresco (ossia nella settimana successiva) venivano subito tagliate a metà e messe ad essiccare. Il pane cotto, o pane duro, immancabile in ogni credenza, veniva ripreso con un po’ d’acqua ed era sempre disponibile. Eh sì, le scorte sono il simbolo della cucina e della produzione ortofrutticola di queste zone. Vedi le innumerevoli conserve, dalle olive schiacciate o in salamoia alle melanzane sott’olio tagliate a striscioline sottili, dai pomodori secchi alla giardiniera. Per non parlare dei carciofini selvatici e della tipica “zucchina spinosa”.
Non si fa fatica comunque ad immaginare che la regina delle conserve era, è e resta, la salsa di pomodoro, spesso un rituale che coinvolgeva, ogni estate, tutta la famiglia in una sorta di catena di montaggio. Il mio compito da bambina era mettere il basilico nelle bottiglie.
Ma, se proprio serve precisarlo, la festa di campagna per eccellenza è senza dubbio quella del maiale. Rituale che si aspetta tutto l’anno e culmina con la “frittolata”, il pranzo finale a base delle carni meno nobili che si lasciano sobbollire nel loro grasso, in una “caddara”, per 8-10 ore. Una tradizione radicata, come in diverse zone della Calabria ma vi assicuro, ed è un dato oggettivo e non affettivo, che le frittole che si fanno nell’Area Grecanica sono le più buone in assoluto. Le parti nobili, invece, del maiale si impiegano ovviamente per i salumi, il capicollo su tutti è l’orgoglio di chi lo produce. Ma in generale tutti i salumi grecanici, sarà l’aria, sarà l’abilità artigianale tramandata da generazioni, hanno un’aromaticità unica e particolare. Pancetta, salsiccia, soppressata e “buccularu” (altrove guanciale), mentre il prosciutto no, qui non si fa, e non si fa nemmeno la ‘nduja. Quello che si fa invece sono i “curcuci”, i rimasugli che si raccolgono sul fondo della caddara e che si lasciano rapprendere per diventare una goduria sui crostini di pane caldo o con le uova.
Ma l’aria dell’Area Grecanica non fa buoni solo i salumi, fa buoni, ovviamente, anche i formaggi. Pecorini e caprini, freschi, semistagionati o stagionati, che vi invito a degustare, senza però tralasciare il vero formaggio dei pastori, tipicamente a latte misto di capra e pecora. E certamente protagoniste sono le ricotte, mai assaggiate di più buone (ed ecco che mi vengono in sogno quelle di una volta nelle fuscelle di giunco mentre, contemporaneamente, maledico, ehm consentitemi, l’haccp) che si possono anche salare e stagionare per essere poi grattugiate sui maccheroni. Formaggio tipico che da quasi scomparso è stato ripreso negli ultimi anni è la Musulupa, o Musulupu, affascinante per la sua forma più che per il suo sapore.
Quello vero è fatto con ciò che resta della lavorazione del formaggio prima che venga fatta la ricotta, pressato in degli stampi di legno di gelso splendidamente intarsiati che danno la forma caratteristiche legata all’iconografia sacra ortodossa. Il sapore è semplice come quello di un primosale e di solito si usa per farcire la frittata di Pasqua ma soprattutto veniva dato in dono, in segno propiziatorio o beneagurante.
Andiamo ai prodotti dell’orto. Altra protagonista della cucina grecanica è la peperonata: patate, melanzane e ovviamente peperoni e ovviamente tutto fritto, con le varianti con o senza cipolla con o senza pomodori.
Da noi non mancava mai, quelle lontane domeniche a pranzo, così come non mancavano mai le polpette di melanzane o, se era periodo, le frittelle di fiori di zucca. E ancora imprescindibili sono i “pipi chini”, piccoli peperoni rotondi ripieni di mollica di pane variamente condita, commoventi. E ripiene sono anche le olive, sempre di mollica di pane aromatizzata con un po’ di aceto e mentuccia, che mani esperte, ricordo, farcivano a centinaia e di piccole dimensioni e allestivano in un piatto a mo’ di piramide. Il pane raffermo e macinato trova spesso giustizia anche nei carciofi ripieni o con le zucchine tagliate a rondelle e ammollicate.
Quello che invece spesso manca, a tavola e nella cucina grecanica in genere, è il pesce, con qualche eccezione ogni tanto concessa al pesce stocco (stoccafisso) o alle costardelle: pesce azzurro dalla forma allungata tipico dello Stretto e tipico di grandi mangiate estive, rigorosamente fritto o accompagnato da cipolla sfumata con aceto. Peccato che non se ne trovi quasi più.
In questa carrellata di sapori grecanici e di fritti, irrinunciabili sono, a base di acqua e farina, la lestopitta (a volte solo pitta) e “i crispeddhi” (in italiano crispelle).
La prima è una sorta di piadina usata a mo’ di pane o comunque farcita (con peperonata, salsiccia e patate o salumi e formaggi), i secondi invece altro non sono che pasta cresciuta vagamente tondeggiante, semplice o ripiena di alici (o, ancor più tipica, sarda salata).
E i dolci? Buffeddi, Scaddateddi e Stomatico e poi ‘Ngute a Pasqua e Petrali a Natale. Chiaro, no? Ma che belli i dialettismi che sono l’unico modo di chiamare un piatto tradizionale! Per la descrizione di queste delizie vi prometto un altro articolo.
Perché la vera domanda dopo tante parole e tanto colesterolo è “E il vino?”.
Da queste parti è solo uno, quello di Palizzi. Uno dei più rinomati e identitari rossi della viticoltura calabrese. Il Palizzi, come dico spesso, è una Doc di fatto, per la storia e per il fascino che ha, e una Igt sulla carta, il cui areale è quasi sovrapponibile ai contorni dell’Area Grecanica, della quale contiene la storia, la cultura e le tradizioni perché ne costituisce un importantissimo elemento culturale e di socializzazione ben radicato nei secoli.
I vigneti del Palizzi si trovano a circa 250 m slm, su terreni argillosi e argilloso-sabbiosi, a volte terrazzati altre volte splendidamente affacciati sul Mar Jonio. E sono diversi, ma assolutamente caratteristici, i vitigni che da sempre sono impiantati in queste zone e che vengono impiegati per l’uvaggio: il Nerello Mascalese ; il Calabrese; il Nerello Cappuccio; il Nocera e il Castiglione. E in piccola parte anche l’Alicante, il Gaglioppo, il Greco Nero e alcuni vitigni bianchi della zona.
Quello che ne viene fuori è un vino di struttura, dal carattere ben definito, intenso ed elegante, a volte rude ma accogliente come la gente del posto, dalla gradazione alcolica sostenuta e frutta, mora prugna e amarene mature, e spezie, leggermente pungenti, macchia mediterranea, liquirizia, erbe aromatiche e toni balsamici. Tannino gradevole e la sapidità del mare antistante. Ovviamente è rosso ma può essere anche rosato.
Infine quello che rende veramente unica l’area grecanica in tutto il mondo è il bergamotto … ma questo invece ve l’ho già raccontato
Non ci resta allora che concludere il pranzo. Con un caffè? No, con una tarantella.
Ballo identitario e fortemente partecipato, la danza popolare per eccellenza da queste parti è un rito ed un rituale. Organetto e tamburello sono sempre a portata di mano mentre una volta (e raramente alche oggi) si usavano anche zampogna e lira calabrese. Che fascino!
Quello che mi auguro a questo punto è che tutto questo dire non resti solamente un racconto.
Ecco quindi di seguito gli indirizzi di cucina tipica e le cantine, con la mia etichetta preferita, per godere del miglior cibo e del miglior vino dell’Area Grecanica.
TRATTORIE
A Bova
-Di Petru i ‘Ntoni
Via Fondo Lucari, 89035 Bova Marina RC
348 705 3895
-Lestopitta da Mimmo
Via Vescovado, 20, 89033 Bova RC
349 265 8552
-Al Borgo di Marcello Mafrica
Via Borgo, 21, 89033 Bova RC
338 900 6739
A Cardeto
-Il tipico calabrese
Via Torrente Sant Agata, 53/a, 89060 Cardeto RC
0965 343696
A Condofuri
-Il bergamotto
Loc. Amendolea snc, 89030 Condofuri RC
347 601 2338
In Località Gallicianò
-Trattoria greca
Via Anaghorio, 89030 Gallicianò RC
349 501 0588
A Melito di Porto Salvo
-Turioleddu
Via Olmo, 1, 89063 Melito di Porto Salvo RC
366 528 9141
A Motta San Giovanni
-La cantina di Zuco
Via S. Basilio, 29, 89065 Motta San Giovanni RC
338 637 2113
A Staiti
-La taverna dei santi
Vico I Piazza Vittoria, 12, 89030 Staiti RC
388 972 9914
CANTINE
-Azienda Agricola Brancati
Via Rocchette, Località Jannacci
89038 Palizzi (RC)
info/ +39 0444 453745
cantina/ +39 338 4514537
Vino preferito: Carcare Rosso
-Azienda Nesci
Via Marina, 5, 89038 Palizzi Marina RC
0965 763029
Vino preferito: Frasanè
-Azienda agricola Altomonte
Via Zingari 89038 Palizzi (RC) Telefono: 338 4965032
Vino preferito: Palizzi Rosso
-Tenuta regina di Sant’Angelo
Via Gioacchino Murat, snc, 89018 Villa San Giovanni RC
371 596 6296
Vino preferito: Don Saso
-Terre grecaniche
Via A. Ferraro, 14 – 89038 Palizzi (RC) –
0965 769703
Vino preferito: Aranghia
-Azienda vinicola Malaspina
Via Pallica, 67, 89063 Melito di Porto Salvo RC
0965 781632
Vino preferito: Palizzi
-Azienda vinicola Tramontana
Via Casa Savoia, 156, 89135 Reggio Calabria RC
0965 370067
Vino preferito: Palizzi
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