di Roberto Giuliani
Gli anni ’90 erano ancora caratterizzati dagli effetti di quel cambiamento iniziato negli anni ’70 in Toscana con il Vigorello di San Felice e, soprattutto, con il Sassicaia della Tenuta San Guido, che vedeva nel vitigno internazionale e nell’uso delle barrique, una possibile risposta alle “statiche” denominazioni di origine, accusate di non sapersi adeguare ai mutamenti del mercato, percorso abbracciato da un sempre maggiore numero di produttori e che ha visto nascere i cosiddetti “super tuscans”.
Fu un periodo di svolta profonda nel modo di fare vino, a partire dalla vigna, dove venivano rivisti i metodi di allevamento, le fittezze d’impianto, le rese per ettaro, si selezionavano i cloni più adatti allo scopo, mentre in cantina i piccoli legni prendevano sempre più piede, oltre a tecnologie che permettevano di ottenere maggiori estrazioni in tempi sempre più brevi, vini più strutturati, concentrati e colorati.
Anche nel Chianti Classico avvenne questo mutamento, stimolato dai sempre maggiori successi e riconoscimenti, che determinarono rialzi nei prezzi a volte in modo anche sfacciato, magari dopo aver ricevuto premi dalle guide di settore, una fase fatta di eccessi ma anche di sperimentazioni e passaggi importanti.
Ma questa è storia, una storia della quale ha fatto parte anche Casa Emma, l’azienda della famiglia Bucalossi che ha voluto ricordare nel proprio marchio la nobildonna fiorentina Emma Bizzarri, precedente proprietaria della storica tenuta. Nell’azienda di San Donato in Poggio, frazione di Barberino Val d’Elsa, a fianco del Chianti Classico nasceva il Soloìo, un merlot in purezza maturato in barrique, mentre la Docg ha continuato a mantenere un uvaggio tutto toscano.
Questa Riserva 1995 è composta da sangiovese al 95% e malvasia nera al 5%, se non ricordo male si trovava sugli scaffali delle enoteche attorno alle 40mila lire, un prezzo indubbiamente elevato a quell’epoca, maturato per 2 anni in rovere di Allier.
Conservato in cantina rivela un tappo in condizioni perfette e senza sorprese maleodoranti. Il vino ha colore granato con unghia aranciata, lasciato respirare a lungo si apre man mano, scalciando le iniziali note terziarie evolute e ossidative a favore di più nitidi rintocchi di humus, funghi, tabacco umido, cuoio, ciliegia e prugna essiccate, legno di liquirizia, cardamomo, goudron.
La bocca non riserva sorprese, ma mostra ancora un’ottima vena acida e una materia di una certa eleganza, con un frutto non ossidato, pur se qualche effetto evolutivo, soprattutto nella fase finale, lascia presagire l’inizio di un processo di inevitabile discesa; ma dopo oltre vent’anni ne ha anche il diritto, soprattutto da un’annata non proprio strepitosa come la ’95.
Insomma tanto di cappello per una Riserva che ha ancora molto da raccontare e che consiglio, se ne avete qualche bottiglia da parte, di stappare senza ulteriori indugi.
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