Chi usa grano italiano? La multa alla catena di distribuzione Lidl per aver giocato sul sound italiano ha come sempre una doppia lettura: da un lato sulla efficacia dei controlli e i cattivi che sono stati finalmente puniti anche se l’entità della sanzione equivale alla spesa di un caffè per un comune mortale. Dall’altro l’aspetto positivo che “italiano”, come “toscano” è un aggettivo che aiuta il commercio perché suona positivo in Italia e all’Estero.
Proprio su quest’ultimo aspetto si è sviluppato un mantra, uno dei tanti, sul grano italiano per pasta e pizza.
La realtà la dovremmo conoscere tutti: l’Italia è un importatore “strutturale”. Vale a dire che non può farne a meno, sia per il comparto del grano duro che del grano tenero. Abbiamo un fabbisogno di importazione che si attesta intorno al 55% (grano duro) che arriva dal Nord America, Australia, Francia, Spagna, Grecia e al 40% (grano tenero) che importiamo prevalentemente dalla Francia, primo produttore europeo, ma anche Austria, Germania, Ungheria e Stati Uniti. Per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno.
Stiamo parlando di soldi veri: nel 2018 il volume dei prodotti del settore molitorio, tra farine, semole e sottoprodotti della macinazione, ha superato gli 11 milioni di tonnellate, restando stabile (-0,1%) rispetto al 2017, con un fatturato di 3,5 miliardi di euro (+2,1% sul 2017). Di questi, 1,6 miliardi (-0,4%) relativi al comparto della trasformazione del frumento duro e 1,872 miliardi di euro (+4,4%) al comparto della trasformazione del frumento tenero.
Nel 2019 le superfici produttive dedicate alla coltivazione del grano duro in Italia sono in calo del 6,5%. Lo studio del Consiglio per la ricerca in agricoltura mette in luce l’aumento del trend di crescita degli spazi coltivati dedicati al biologico e ai contratti di filiera mentre è in diminuzione l’impiego delle sementi certificate, meno 12% rispetto al 2018.
Allora il vero punto qual è? Come liberarci del mantra del sovranismo alimentare? Partendo dall’idea forse che noi italiani siamo soprattutto trasformatori di materie prime che importiamo grezze e rivendiamo con il valore aggiunto.
Sicuramente la nostra filiera alimentare è la più controllata al mondo e questo è all’origine della fiducia del consumatore medio verso le nostre produzioni anche se, lo dico sempre, il problema oltre che legale è culturale perché le truffe ci sono anche da noi come dimostra l’ultima vicenda del vino nell’Oltrepò Pavese.
Il punto vero è dunque partire dalla consapevolezza che il GRANO ITALIANO NON BASTA AL NOSTRO CONSUMO INTERNO.
La vera misura dunque è molto semplice: dichiarare la provenienza e al tempo stesso la qualità delle importazioni che il più delle volte è superiore.
Io consumatore devo avere la possibilità di scegliere se comprare prodotti ottenuti da grano italiano o meno e se da grano estero, capire la provenienza e la qualità della materia prima.
Dunque la grande industria molitoria invece di giocare a nascondino farebbe bene a fare una operazione di chiarezza in partenza senza aspettare di essere continuamente incalzata. Dando valore aggiunto ai contenuti culturali e colturali è possibile poi dare valore aggiunto economico alle merci. Nel grano come ovunque.
E ora il nuovo che avanza: ecco i pastifici italiani che dichiarano di usare solo grano italiano
Quali sono le marche italiane di pasta che dichiarano di usare solo grano italiano
Chi usa grano italiano?
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