Anche chi scrive ha responsabilità della crisi dei locali, perchè è questione di olio, competenza e pudore

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

di Marco Contursi

E’ da molto che evito polemiche, sul cibo e sulle competenze di chi ne scrive, ma l’amarezza per non aver raggiunto il numero minimo di iscritti a un corso Onas, sull’analisi sensoriale dei salumi a Sorrento, dove c’è forse, la più alta concentrazione di locali e alberghi di fascia alta in Campania, l’aver sentito amici ristoratori avviliti per come vanno gli affari e l’aver letto in contemporanea, l’ennesima recensione farlocca, di un sedicente esperto, che parla di salumi di qualità  di un locale, quando dalle foto erano palesemente, per un occhio esperto, prodotti di bassa fascia, mi impone di non tacere.

Il mondo del food sta precipitando sempre più giù e tutti sembrano fare finta di nulla.

Iniziamo col dire che in Italia parte dei locali è in sofferenza, pizzerie comprese. Troppa concorrenza, pochi i clienti, soprattutto durante la settimana, bassa la spesa pro capite, troppe tasse,  ma soprattutto troppi locali magnificati immeritatamente da sedicenti esperti, per incompetenza o cattiva fede.

Esagero? Ok, allora come si spiega che un locale con un importante riconoscimento per il rapporto qualità-prezzo di una delle guide più famose, di sabato sera accetti prenotazioni con the fork, e il 20 % di sconto e abbia la sala ( 40 posti) mezza vuota?

O come si spiega che ben 3 pizzerie, di quelle che fino a 2-3 anni fa lavoravano, nella stessa settimana mi abbiano chiesto una mano per risollevarsi, non avendo ovviamente io la bacchetta magica per aiutarli a farlo?

Varie le cause. Pochi però vogliono ammettere che la situazione sta precipitando. C’è chi ha venduto la casa, chi sta esaurendo i risparmi, chi non paga i fornitori. Poi c’è ancora chi spende e spande, si allarga, pure se è spesso vuoto e qualche dubbio sull’origine dei capitali è lecito farselo venire. D‘altronde, si sa che alberghi e ristoranti sono da sempre una ottima lavatrice.

Vari i motivi, dicevamo, ma voglio soffermarmi sull’incompetenza o la cattiva fede di chi scrive di cibo e di locali.

Basta col dire che si raccontano emozioni e non dati scientifici. Poiché l’emozione può riguardare un piatto nel complesso, non il singolo ingrediente, soprattutto quando non trasformato come salumi e formaggi. E anche sul trasformato ci sono parametri chiari per capire se un piatto è ben eseguito. Se un salume è di bassa qualità, non posso magnificarlo pure se sto cenando con Lais Ribeiro. Se una fetta di carne è bruciata, può portarmela pure in tavola Sara Sampaio in bikini  ma non posso scrivere “ottima bistecca”. Sennò si raccontano favole, ossia fatti immaginari, senza alcuna attinenza col reale.

Che pena ancora leggere su blog , anche autorevoli, “bistecca di chianina, maremmana e di scottona”, come se scottona fosse una razza, o ancora maialino nero casertano ( ma maialino de che?) o ancora mai leggere una parola sull’olio portato in tavola che è uno dei veri indicatori di una cucina di qualità. Puoi comprare il formaggio più caro del mondo ma se usi un olio scadente, sei un locale da evitare. Punto. Se mi metti un olio rancido o con chiari sentori di riscaldo su la migliore carne del mondo, me la rovini irreparabilmente. Punto. Che senso ha riempirsi la bocca della parola “dieta mediterranea” e poi tacere sistematicamente dell’olio di un ristorante, quando si scrive?  Ha senso perché la maggior parte di chi scrive di food non ha mai fatto un corso di analisi sensoriale dell’olio o dei salumi, al massimo un corso sul vino, magari distraendosi durante la lezione, per controllare il proprio autorevolissimo blog.

Per non parlare di quelli che si fanno pranzi e viaggi a spese dei venditori di cibo e vini o che si fanno tutte le cene stampa, fossero pure in Culonia per poi magnificare con foto sontuose ma senza acume critico i piatti degustati, per la regola “non pag-ne parlo bene”. E la credibilità fa a farsi fottere. Mentre i lettori vanno a provare quel locale, quando magari ce ne sono altri che puntano su una cucina con ingredienti scelti con cura e non sulla pubblicità bieca del pago-ne parli bene sui social.

Proprio per frenare questa caduta libera del mondo del food, fatta di chiusure di posti meritevoli, finora scongiurate da risparmi e pensioni dei genitori, serve un giornalismo gastronomico, non solo libero ma anche competente. Poiché se sei scevro da condizionamenti ma non ne capisci una mazza, la recensione sarà genuina ma sbagliata. Punto.

Chiudo con una domanda che spiega meglio di tutto questa deriva? Ma un concorso di pizzaioli può cercare giudici con un bando aperto su facebook  a chiunque scriva di cibo o sia del settore, senza alcuna verifica delle reali competenze? O vale la regola del “scribo ergo sum?

Mi ripeto: il poema epico è una cosa, la narrazione gastronomica, critica o meno, un’altra. Il primo è un racconto di fantasia, il secondo un dettame veritiero di un pasto che merita di essere consigliato e/o criticato, con motivazioni oggettive.

Dici di no? Ok allora o sei a cena con Thylane Blondeau, o sei un quaquaraquà.


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